Naufraghi 2.0
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Re: Naufraghi 2.0
...l'altrà metà del racconto è nella pagina precedente.
Il tizio dell’officina è un uomo sulla cinquantina, con lunghi baffoni bianchi e con indosso una logora tuta da lavoro grande almeno di tre taglie. Gli dico di chiamarmi Timothy, come il tizio che ho appena ucciso e a cui ho rubato il portafoglio e momentaneamente l’identità, oltre che la macchina. Il vecchio mi guarda con aria un po’ sospetta, sembra si metta a farfugliare qualcosa da sotto quei baffoni bianchissimi, poi però distoglie il suo sguardo e inizia a ispezionare minuziosamente la macchina. Apre il cofano per controllare il motore, esamina le gomme, sale in auto per visionare gli interni e provare i comandi, tutto quanto con una perizia e una professionalità degna del migliore dei chirurghi. Una volta terminata l’ispezione mi dice quanto è disposto a darmi. Io accetto subito, allora si allontana da me e dopo dieci minuti torna con in mano una borsa piena di contanti, l’affare è concluso. Prima di andarmene si dimostra anche fin troppo premuroso chiedendomi come avrei fatto ad andare via, ora che ero a piedi. Io semplicemente gli rispondo che un amico fidato sarebbe arrivato per prelevarmi di lì a poco. Lui allora fa ‘Ok, manda i miei saluti al Signor Gilbert allora’, e poi non lo vedo più. Mi faccio un chilometro a piedi e recupero la mia macchina, butto la borsa nel bagagliaio e me ne torno a casa con cinquantamila dollari in contanti”
"Caspita" disse il ragazzo "molto di più di quello che ti doveva"
“L’hai detto”                                                                           Â
"E adesso non hai paura che ti stiano dando la caccia gli stessi che hanno ucciso Larry"
"E perchè dovrei? Loro non sanno chi sono, e non conoscono il mio nome. All'uomo dell'officina mi sono presentato con il nome di Timothy proprio per non lasciare nessuna traccia del mio passaggio. Quelli non hanno un bel niente a parte il cadavere del loro tirapiedi, sempre che riescano a trovarlo prima che diventi concime. In ogni caso non credere che non abbia degli amici anch'io" L'uomo fece una pausa per accendersi una sigaretta "In realtà in tutta questa storia ho modificato un paio di particolari. Quel Larry non lo conoscevo neanche io, avevo solo una sua fotografia che mi aveva dato la persona che lo stava cercando, lo stesso a cui Larry doveva trentamila dollari. Io lavoravo per questa persona"  “E ora che ci fai con tutti questi soldi? Perché non li hai ancora portati al tuo capo?” Disse incredulo il ragazzo.                                            “Per prima cosa ti offro da bere, ragazzo, poi si vedrà. Certo che non pensavo proprio che quella macchina potesse valere tanto, e pensare che si diceva che quel figlio di puttana di Larry non avesse un soldo” L’uomo allora si alzò, buttò cinquanta euro sul bancone e prese la via dell’uscita.                Â
“Ehi aspetta” disse il ragazzo “Perché mi hai raccontato questa storia, John?”                  Â
“John? Ma che stupido nome è? Io non mi chiamo John”                                 Â
“E come ti chiami allora?”                                                             Â
Ma l’uomo era già uscito dal bar e anche se avesse sentito la domanda del ragazzo, da lui non sarebbe arrivata nessuna risposta.
Fine.
                                        Â
Il tizio dell’officina è un uomo sulla cinquantina, con lunghi baffoni bianchi e con indosso una logora tuta da lavoro grande almeno di tre taglie. Gli dico di chiamarmi Timothy, come il tizio che ho appena ucciso e a cui ho rubato il portafoglio e momentaneamente l’identità, oltre che la macchina. Il vecchio mi guarda con aria un po’ sospetta, sembra si metta a farfugliare qualcosa da sotto quei baffoni bianchissimi, poi però distoglie il suo sguardo e inizia a ispezionare minuziosamente la macchina. Apre il cofano per controllare il motore, esamina le gomme, sale in auto per visionare gli interni e provare i comandi, tutto quanto con una perizia e una professionalità degna del migliore dei chirurghi. Una volta terminata l’ispezione mi dice quanto è disposto a darmi. Io accetto subito, allora si allontana da me e dopo dieci minuti torna con in mano una borsa piena di contanti, l’affare è concluso. Prima di andarmene si dimostra anche fin troppo premuroso chiedendomi come avrei fatto ad andare via, ora che ero a piedi. Io semplicemente gli rispondo che un amico fidato sarebbe arrivato per prelevarmi di lì a poco. Lui allora fa ‘Ok, manda i miei saluti al Signor Gilbert allora’, e poi non lo vedo più. Mi faccio un chilometro a piedi e recupero la mia macchina, butto la borsa nel bagagliaio e me ne torno a casa con cinquantamila dollari in contanti”
"Caspita" disse il ragazzo "molto di più di quello che ti doveva"
“L’hai detto”                                                                           Â
"E adesso non hai paura che ti stiano dando la caccia gli stessi che hanno ucciso Larry"
"E perchè dovrei? Loro non sanno chi sono, e non conoscono il mio nome. All'uomo dell'officina mi sono presentato con il nome di Timothy proprio per non lasciare nessuna traccia del mio passaggio. Quelli non hanno un bel niente a parte il cadavere del loro tirapiedi, sempre che riescano a trovarlo prima che diventi concime. In ogni caso non credere che non abbia degli amici anch'io" L'uomo fece una pausa per accendersi una sigaretta "In realtà in tutta questa storia ho modificato un paio di particolari. Quel Larry non lo conoscevo neanche io, avevo solo una sua fotografia che mi aveva dato la persona che lo stava cercando, lo stesso a cui Larry doveva trentamila dollari. Io lavoravo per questa persona"  “E ora che ci fai con tutti questi soldi? Perché non li hai ancora portati al tuo capo?” Disse incredulo il ragazzo.                                            “Per prima cosa ti offro da bere, ragazzo, poi si vedrà. Certo che non pensavo proprio che quella macchina potesse valere tanto, e pensare che si diceva che quel figlio di puttana di Larry non avesse un soldo” L’uomo allora si alzò, buttò cinquanta euro sul bancone e prese la via dell’uscita.                Â
“Ehi aspetta” disse il ragazzo “Perché mi hai raccontato questa storia, John?”                  Â
“John? Ma che stupido nome è? Io non mi chiamo John”                                 Â
“E come ti chiami allora?”                                                             Â
Ma l’uomo era già uscito dal bar e anche se avesse sentito la domanda del ragazzo, da lui non sarebbe arrivata nessuna risposta.
Fine.
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Re: Naufraghi 2.0
Up. (Doc, questo topic aspiett' a tte!
)

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Re: Naufraghi 2.0
Toni Monroe ha scritto: Up. (Doc, questo topic aspiett' a tte!)
Io sarei quasi pronto, sono all'ultimo capitolo della nuova fatica, ma non posso garantire i tempi di consegna!
Se vi va di rischiare, potrei iniziare lentamente a postare, un paragrafo alla volta sarà lunga (potete credermi quando ve lo dico!), saranno un centinaio di cartelle word in totale, il rischio è che alla fine dobbiate aspettare un poco per la conclusione, che ancora non ho scritto, anche se ovviamente ho pianificato, o che decida di cambiare qualcosina e debba modificare qualcosa di quanto già postato.
Ditemi se preferite aspettare la conclusione (mi sono rimesso a lavorarci, anche se con grande lentezza, per via del lavoro, della famiglia e degli impegni che mi son preso qui) o preferite che inizi.
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Re: Naufraghi 2.0
Io direi di tornare a scriverci qualcosa, se poi qualcun altro vuole partecipare -come sempre- è ben accetto.
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Re: Naufraghi 2.0
Toni Monroe ha scritto: Io direi di tornare a scriverci qualcosa, se poi qualcun altro vuole partecipare -come sempre- è ben accetto.
Va bene, entro la settimana inizio! Se sono riuscito a finire e rileggere bene, sennò ciccia.
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Re: Naufraghi 2.0
Avevo promesso una settimana, ci ho messo un mese e mezzo.
Ed ho appena finito, non ho riletto e non ho tanta voglia di farlo.
Vuol dire che vi userò come correttori di bozze.
Come titolo provvisorio potremmo usare:
"La taverna del Dio etrusco"
Cercherò di inserire un capitolo ogni due o tre giorni, in questi primi giorni non posso promettere puntualità, dalla prossima settimana si. A voi!
Ed ho appena finito, non ho riletto e non ho tanta voglia di farlo.
Vuol dire che vi userò come correttori di bozze.
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Re: Naufraghi 2.0
1) INTRODUZIONE
A) Aria di casa
Che accidenti di caldo! Gli avevano detto che in campagna si soffre meno, la temperatura è più bassa, tira vento, la notte si dorme bene. Accidenti a loro, 38 gradi centigradi, li avrebbe legati ad un lampione nella piazza principale del paese, in pieno sole, per qualche ora. Anzi, qualche giorno. Anzi, qualche settimana. Accidenti, vai a Tuscania, cittadina tranquilla, non succede mai niente, però si vive bene, non c’è inquinamento e c’è un clima eccezionale, come sempre, d’altronde, se sei in campagna. Accidenti, 38 gradi, ed il suo capo che lo spediva in giro nel pomeriggio, tutto vestito di nero. Come sua moglie, quell’estate, che gli aveva imposto quindici giorni sull’adriatico. Ma come, io lavoro ad un passo dal Tirreno e mi mandi sull’Adriatico? E poi, appena arrivati a Senigallia, nella tarda mattinata, c’erano 40 gradi, come sulla tangenziale di Roma, un’umidità degna della doccia di casa ed un vento imponente. Gli aveva detto sua moglie che nelle Marche c’era sempre vento, un venticello fresco che ti rigenera. Forse a gennaio c’era un venticello fresco, a luglio in quindici giorni aveva sentito solo un accidenti di vento caldo che gli faceva grondare di sudore i peli delle gambe e del petto e gli copriva di sabbia la macchina. Ed ora, appena tornato a Tuscania, 38 gradi, neanche un filo d’aria ed il servizio in centro. A Roma, lui viveva bene a Roma, accidenti, l’aria condizionata accesa tutto il giorno e la sera in giro a Trastevere. Qui invece c’era la stessa temperatura, lo stesso caldo asfissiante, niente aria condizionata perché la gente dice “Con i muri spessi l’aria condizionata non serve”; non serve un tubo, un accidente che se li porti; non servirà il primo giorno di caldo, ma dopo due mesi sopra i trenta, accidenti, ci si scioglieva anche nelle cantine. E pensare che lui da ragazzo aveva trascorso tutte le estati in città: caldo, ma tanto in agosto fa caldo dovunque, anche in quegli accidenti di posti in cui la gente come arriva dice “come si sta bene!”, poi guardi la colonnina del termometro e leggi 37 anziché 38, in ogni modo Roma, in agosto, è la città più bella del mondo, sei tranquillo, fai quel che ti pare, niente traffico che ti ammazza!
Invece in questo accidenti di posto! Settemila anime o poco più, un cinema, qualche bar e poi basta, la sera o giochi a briscola, o guardi Panariello in televisione o muori di pizzichi! “Ma la sera dormi bene”, diceva sua moglie. Dormi bene si, t’annoi tutto il giorno, la sera ti ritrovi con due palle tali che dormi per disperazione! Aveva anche pensato di trasferirsi a Viterbo e fare il pendolare, ma sua moglie, precedendolo, aveva insistito per comprare casa a Marta, sul lago di Bolsena, che è un posto così tranquillo, così fresco, non c’è confusione, inquinamento, lì ritrovi te stesso! Quando, in risposta, le aveva detto dove poteva andare e per ritrovare cosa, sua moglie gli aveva tenuto il broncio per una settimana. Aveva dovuto pranzare con tramezzini, cenare con pizze al piatto e portare le camicie in lavanderia, ma almeno il discorso Marta non era stato più tirato fuori.
Mentre il brigadiere dell’arma dei carabinieri Fulgenzio Petronillo si aggirava attorno al palazzo del comune, le sue riflessioni vennero interrotte bruscamente; senti infatti delle urla in lontananza. Si voltò e vide dei bambini che correvano ed una signora corpulenta completamente fuori di se. Raggiunse il gruppetto più in fretta che poteva, nelle stradina che andava verso la chiesa di Santa Maria, e tentò di farsi spiegare cosa stava succedendo.
Fu presto chiaro che non solo la sua speranza di trarre da quelle persone una qualunque parvenza di discorso coerente era una pia illusione, ma anche che non sarebbe riuscito neanche a modulare i suoni che uscivano da quelle bocche. Un pensiero che lo colse fu quello che quelle urla sembravano proprio i suoni che aveva sentito a quel concerto di musica dodeco qualcosa (forse cacofonica?) cui l’aveva trascinato una volta sua moglie, un concerto diretto da un certo Luciano, che di cognome faceva forse Mario, oppure Lario, oppure Berio, comunque una vaccata dove l’aveva trascinato la moglie che da buona maestra elementare trascorreva le giornate tentando di elevare culturalmente il marito, scassandogli le scatole anziché lasciarlo tranquillo a farsi i fatti propri.
Ben presto il Brigadiere Petronillo fu strappato anche a queste riflessioni da uno dei due bambini che lo strattonò verso un folto cespuglio al bordo della strada. Se il Brigadiere Petronillo aveva appena sentito una seppur vaga simpatia per la sua professione, per la campagna laziale, per la cittadina in cui operava, ogni traccia di questa simpatia gli uscì dallo stomaco insieme agli ultimi tre o quattrocento pasti che aveva effettuato non appena vide ciò che quel bambino gli mostrava.
A) Aria di casa
Che accidenti di caldo! Gli avevano detto che in campagna si soffre meno, la temperatura è più bassa, tira vento, la notte si dorme bene. Accidenti a loro, 38 gradi centigradi, li avrebbe legati ad un lampione nella piazza principale del paese, in pieno sole, per qualche ora. Anzi, qualche giorno. Anzi, qualche settimana. Accidenti, vai a Tuscania, cittadina tranquilla, non succede mai niente, però si vive bene, non c’è inquinamento e c’è un clima eccezionale, come sempre, d’altronde, se sei in campagna. Accidenti, 38 gradi, ed il suo capo che lo spediva in giro nel pomeriggio, tutto vestito di nero. Come sua moglie, quell’estate, che gli aveva imposto quindici giorni sull’adriatico. Ma come, io lavoro ad un passo dal Tirreno e mi mandi sull’Adriatico? E poi, appena arrivati a Senigallia, nella tarda mattinata, c’erano 40 gradi, come sulla tangenziale di Roma, un’umidità degna della doccia di casa ed un vento imponente. Gli aveva detto sua moglie che nelle Marche c’era sempre vento, un venticello fresco che ti rigenera. Forse a gennaio c’era un venticello fresco, a luglio in quindici giorni aveva sentito solo un accidenti di vento caldo che gli faceva grondare di sudore i peli delle gambe e del petto e gli copriva di sabbia la macchina. Ed ora, appena tornato a Tuscania, 38 gradi, neanche un filo d’aria ed il servizio in centro. A Roma, lui viveva bene a Roma, accidenti, l’aria condizionata accesa tutto il giorno e la sera in giro a Trastevere. Qui invece c’era la stessa temperatura, lo stesso caldo asfissiante, niente aria condizionata perché la gente dice “Con i muri spessi l’aria condizionata non serve”; non serve un tubo, un accidente che se li porti; non servirà il primo giorno di caldo, ma dopo due mesi sopra i trenta, accidenti, ci si scioglieva anche nelle cantine. E pensare che lui da ragazzo aveva trascorso tutte le estati in città: caldo, ma tanto in agosto fa caldo dovunque, anche in quegli accidenti di posti in cui la gente come arriva dice “come si sta bene!”, poi guardi la colonnina del termometro e leggi 37 anziché 38, in ogni modo Roma, in agosto, è la città più bella del mondo, sei tranquillo, fai quel che ti pare, niente traffico che ti ammazza!
Invece in questo accidenti di posto! Settemila anime o poco più, un cinema, qualche bar e poi basta, la sera o giochi a briscola, o guardi Panariello in televisione o muori di pizzichi! “Ma la sera dormi bene”, diceva sua moglie. Dormi bene si, t’annoi tutto il giorno, la sera ti ritrovi con due palle tali che dormi per disperazione! Aveva anche pensato di trasferirsi a Viterbo e fare il pendolare, ma sua moglie, precedendolo, aveva insistito per comprare casa a Marta, sul lago di Bolsena, che è un posto così tranquillo, così fresco, non c’è confusione, inquinamento, lì ritrovi te stesso! Quando, in risposta, le aveva detto dove poteva andare e per ritrovare cosa, sua moglie gli aveva tenuto il broncio per una settimana. Aveva dovuto pranzare con tramezzini, cenare con pizze al piatto e portare le camicie in lavanderia, ma almeno il discorso Marta non era stato più tirato fuori.
Mentre il brigadiere dell’arma dei carabinieri Fulgenzio Petronillo si aggirava attorno al palazzo del comune, le sue riflessioni vennero interrotte bruscamente; senti infatti delle urla in lontananza. Si voltò e vide dei bambini che correvano ed una signora corpulenta completamente fuori di se. Raggiunse il gruppetto più in fretta che poteva, nelle stradina che andava verso la chiesa di Santa Maria, e tentò di farsi spiegare cosa stava succedendo.
Fu presto chiaro che non solo la sua speranza di trarre da quelle persone una qualunque parvenza di discorso coerente era una pia illusione, ma anche che non sarebbe riuscito neanche a modulare i suoni che uscivano da quelle bocche. Un pensiero che lo colse fu quello che quelle urla sembravano proprio i suoni che aveva sentito a quel concerto di musica dodeco qualcosa (forse cacofonica?) cui l’aveva trascinato una volta sua moglie, un concerto diretto da un certo Luciano, che di cognome faceva forse Mario, oppure Lario, oppure Berio, comunque una vaccata dove l’aveva trascinato la moglie che da buona maestra elementare trascorreva le giornate tentando di elevare culturalmente il marito, scassandogli le scatole anziché lasciarlo tranquillo a farsi i fatti propri.
Ben presto il Brigadiere Petronillo fu strappato anche a queste riflessioni da uno dei due bambini che lo strattonò verso un folto cespuglio al bordo della strada. Se il Brigadiere Petronillo aveva appena sentito una seppur vaga simpatia per la sua professione, per la campagna laziale, per la cittadina in cui operava, ogni traccia di questa simpatia gli uscì dallo stomaco insieme agli ultimi tre o quattrocento pasti che aveva effettuato non appena vide ciò che quel bambino gli mostrava.
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Re: Naufraghi 2.0
Ci sono, letto. :D Direi che lo stile qui assume dei toni noir che non ci avevi ancora mostrato, Doc, i miei complimenti.Â
Qualche errore di battitura c'è, lo dico solo perché hai detto che possiamo farti da correttori di bozze (devo segnalare anche quali?), ma l'insieme è gradevole. 


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Re: Naufraghi 2.0
Toni Monroe ha scritto: Ci sono, letto. :D Direi che lo stile qui assume dei toni noir che non ci avevi ancora mostrato, Doc, i miei complimenti.ÂQualche errore di battitura c'è, lo dico solo perché hai detto che possiamo farti da correttori di bozze (devo segnalare anche quali?), ma l'insieme è gradevole.Â
Segnala, segnala, tanto ormai sei calato nel ruolo di rustichello da pisa!
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Re: Naufraghi 2.0
doc G ha scritto:
Dormi bene si (il sì affermazione vuol la i accentata), t’annoi tutto il giorno, la sera ti ritrovi con due palle tali che dormi per disperazione!
senti infatti delle urla in lontananza. (manca la i accentata) Si voltò e vide dei bambini che correvano ed una signora corpulenta completamente fuori di se. (la e va accentata)
:D
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Re: Naufraghi 2.0
B) Tombe e tombini
L’uomo era seduto nella morbida poltrona di pelle in un atteggiamento che denotava una profonda riflessione. Nel mezzo della sua fronte alta e liscia, la sua pelle morbida come quella di un adolescente (o tirata come quella di una star televisiva cinquantenne) si increspava in una ruga verticale, per altro l’unica che appariva su quel viso abbronzato e sbarbato. Le sue mani, lunghe, affusolate e perfettamente curate, quando non si univano davanti al bottone della polo azzurra di seta, andavano a ravvivare i capelli, lunghi il giusto per esaltare il vezzoso sale e pepe delle tempie senza apparire ribelli o disordinati, i polsi, che evidentemente pativano la mancanza di un paio di gemelli ma si lasciavano consolare da un cronografo Rolex in acciaio e oro, tradivano una leggera tensione, le gambe, i cui muscoli atletici erano troppo definiti per essere figli di una vita all’aria aperta, ma evidentemente dovevano la loro tonicità ad ore di palestra, si accavallavano continuamente, gualcendo i pantaloni sportivi di lino e mettevano in evidenza l’unico paio di scarpe da barca fatte su misura che si fossero viste a Volterra da anni.
Il più cauto uomo dietro la scrivania, vestito di un sobrio completo di fresco lana grigio scuro, camicia bianca aperta e privo di fronzoli fantasiosi o costosi, rivolo di sudore che scendeva nella fronte sfidando l’aria condizionata, premette un tasto del telefono.
“Signorina, è arrivato?”
“Si, proprio ora. Lo faccio entrare?”
“Si si, lo faccia entrare subito.”
La porta si aprì ed entrò un giovane uomo vestito in jeans e polo, occhiali neri rotondi, capelli con un taglio a metà strada fra quelli di un attore americano e quelli di uno che da qualche tempo dimentica di andare dal barbiere.
“Carissimo architetto Pediconi, prego, si accomodi, quale piacere.”
“Avvocato Amedei, buon giorno, credo che il suo ospite sia il suo cliente, il dottor Barberini, o mi sbaglio?”
“No, non sbaglia. Piacere, Ascanio Barberini.”
“Piacere, Claudio Pediconi”
“Mi permetto” introdusse l’avvocato “Il dottor Barberini voleva incontrarla perché è convinto che quello che bloccano il nostro progetto siano solo lievi incomprensioni, in quanto la nostra intenzione è quella di rispettare, conservare e valorizzare al meglio le vestigia di quel passato che rappresenta la nostra più grande ricchezza. Valorizzazione, questa è la parola chiave, affinché la memoria del nostro passato non vada persa ma, al contrario resti salda nella nostra cultura.”
“Scusi, ma mi sta parlando di un albergo con annesso parco dei divertimenti vicino a delle rovine romane… quale sarebbe la valorizzazione della memoria del passato?”
“Ma no, architetto… prima di tutto la maggioranza delle attrazioni riguarderanno appunto l’antica Roma, poi costituiremo un museo dove i visitatori possano ammirare le vestigia del passato!”
“Quelle che rimuoverete?”
“Ma no, architetto - intervenne per la prima volta l’azzimato imprenditore - ma no… nostro primario interesse è valorizzarle queste vestigia… fra l’altro mi piacerebbe mostrarle tutti i progetti che stiamo realizzando per chiederle dei consigli. Risulta agevole comprendere come lei sia competente ed appassionato del suo lavoro, lei è sicuramente la persona giusta per indirizzarci verso la strada migliore per realizzare dei progetti che possano dimostrarsi efficaci nella migliore valorizzazione di ciò che i nostri antenati hanno realizzato.”
“La ringrazio, ma…”
“Caro architetto, lei inoltre potrebbe suggerirci anche delle strade più rapide per l’approvazione dei nostri progetti, facilitando molto il nostro lavoro. Questa attività ovviamente dovrebbe essere ricompensata, e ben generosamente,”
Ecco il punto. Si era arrivati al motivo di quell’incontro. Claudio Pediconi iniziò a sudare, si allargò il colletto, farfugliò qualcosa, poi, in preda al panico, si allontanò prima possibile con una scusa pietosa.
Quando il coraggio difetta, difficile trovare una via e seguirla. Impensabile una denuncia, impensabile prendere il denaro, impensabile lottare contro il famoso imprenditore ma anche assecondarlo, in entrambi i casi i rischi sarebbero stati eccessivi. Solo una strada era possibile: chiedere il trasferimento in una diversa sede ed un incarico differente. Quella era l’unica strada possibile. Magari una bella sede sul mare, non lontano da Roma…
L’uomo era seduto nella morbida poltrona di pelle in un atteggiamento che denotava una profonda riflessione. Nel mezzo della sua fronte alta e liscia, la sua pelle morbida come quella di un adolescente (o tirata come quella di una star televisiva cinquantenne) si increspava in una ruga verticale, per altro l’unica che appariva su quel viso abbronzato e sbarbato. Le sue mani, lunghe, affusolate e perfettamente curate, quando non si univano davanti al bottone della polo azzurra di seta, andavano a ravvivare i capelli, lunghi il giusto per esaltare il vezzoso sale e pepe delle tempie senza apparire ribelli o disordinati, i polsi, che evidentemente pativano la mancanza di un paio di gemelli ma si lasciavano consolare da un cronografo Rolex in acciaio e oro, tradivano una leggera tensione, le gambe, i cui muscoli atletici erano troppo definiti per essere figli di una vita all’aria aperta, ma evidentemente dovevano la loro tonicità ad ore di palestra, si accavallavano continuamente, gualcendo i pantaloni sportivi di lino e mettevano in evidenza l’unico paio di scarpe da barca fatte su misura che si fossero viste a Volterra da anni.
Il più cauto uomo dietro la scrivania, vestito di un sobrio completo di fresco lana grigio scuro, camicia bianca aperta e privo di fronzoli fantasiosi o costosi, rivolo di sudore che scendeva nella fronte sfidando l’aria condizionata, premette un tasto del telefono.
“Signorina, è arrivato?”
“Si, proprio ora. Lo faccio entrare?”
“Si si, lo faccia entrare subito.”
La porta si aprì ed entrò un giovane uomo vestito in jeans e polo, occhiali neri rotondi, capelli con un taglio a metà strada fra quelli di un attore americano e quelli di uno che da qualche tempo dimentica di andare dal barbiere.
“Carissimo architetto Pediconi, prego, si accomodi, quale piacere.”
“Avvocato Amedei, buon giorno, credo che il suo ospite sia il suo cliente, il dottor Barberini, o mi sbaglio?”
“No, non sbaglia. Piacere, Ascanio Barberini.”
“Piacere, Claudio Pediconi”
“Mi permetto” introdusse l’avvocato “Il dottor Barberini voleva incontrarla perché è convinto che quello che bloccano il nostro progetto siano solo lievi incomprensioni, in quanto la nostra intenzione è quella di rispettare, conservare e valorizzare al meglio le vestigia di quel passato che rappresenta la nostra più grande ricchezza. Valorizzazione, questa è la parola chiave, affinché la memoria del nostro passato non vada persa ma, al contrario resti salda nella nostra cultura.”
“Scusi, ma mi sta parlando di un albergo con annesso parco dei divertimenti vicino a delle rovine romane… quale sarebbe la valorizzazione della memoria del passato?”
“Ma no, architetto… prima di tutto la maggioranza delle attrazioni riguarderanno appunto l’antica Roma, poi costituiremo un museo dove i visitatori possano ammirare le vestigia del passato!”
“Quelle che rimuoverete?”
“Ma no, architetto - intervenne per la prima volta l’azzimato imprenditore - ma no… nostro primario interesse è valorizzarle queste vestigia… fra l’altro mi piacerebbe mostrarle tutti i progetti che stiamo realizzando per chiederle dei consigli. Risulta agevole comprendere come lei sia competente ed appassionato del suo lavoro, lei è sicuramente la persona giusta per indirizzarci verso la strada migliore per realizzare dei progetti che possano dimostrarsi efficaci nella migliore valorizzazione di ciò che i nostri antenati hanno realizzato.”
“La ringrazio, ma…”
“Caro architetto, lei inoltre potrebbe suggerirci anche delle strade più rapide per l’approvazione dei nostri progetti, facilitando molto il nostro lavoro. Questa attività ovviamente dovrebbe essere ricompensata, e ben generosamente,”
Ecco il punto. Si era arrivati al motivo di quell’incontro. Claudio Pediconi iniziò a sudare, si allargò il colletto, farfugliò qualcosa, poi, in preda al panico, si allontanò prima possibile con una scusa pietosa.
Quando il coraggio difetta, difficile trovare una via e seguirla. Impensabile una denuncia, impensabile prendere il denaro, impensabile lottare contro il famoso imprenditore ma anche assecondarlo, in entrambi i casi i rischi sarebbero stati eccessivi. Solo una strada era possibile: chiedere il trasferimento in una diversa sede ed un incarico differente. Quella era l’unica strada possibile. Magari una bella sede sul mare, non lontano da Roma…
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Re: Naufraghi 2.0
Toni Monroe ha scritto: :D
Grazie, Rustichello!
Lascio così per un poco, poi correggerò.
Oppure "mi corigerete", vedi tu! :lol2: :lol2:
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Re: Naufraghi 2.0
non capisco quest'odio verso Senigallia 

Giordan ha scritto: Menzione onorevole per Pap, che si è distinto per avere la stessa voce di Battiato e la peggior pronuncia anglo-americana ogni epoca!!!
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Re: Naufraghi 2.0
Paperone ha scritto: non capisco quest'odio verso Senigallia
:lol2: :lol2:
Ma figurati, io vado in vacanza da una vita a 40 km da li!
Caratterizzavo il personaggio, non mi dire che non conosci nessun romano così....
Il prossimo personaggio lo farò parlar male dei nerds bolognesi!
:lol2: :lol2:
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Re: Naufraghi 2.0
Ci sono, possiamo proseguire. :D
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