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Politica Internazionale

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Noodles
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Re: Politica Internazionale

Messaggio da Noodles » 02/03/2024, 12:08

Ang88 ha scritto: 02/03/2024, 11:56
Noodles ha scritto: 02/03/2024, 11:49

non stavamo discutendo degli aspetti dell'informazione oggi? 

se chiamato a dare un giudizio io personalmente la trovo ridotta molto peggio di 20 anni e ho spiegato le ragioni.
non ho mica invocato la santa inquisizione.
certo, nel mio mondo perfetto, chi si fa portatore di una notizia di cronaca, politica, economica andrebbe verificato.
dovrebbe avere delle competenze per parlarne (E questo lo dico indipendentemente dalla visione politica di cui si fa portatore).

sta di fatto che il caso della brexit di cui parlava prima Gec capita a fagiolo nella discussione.
Farage successivamente ha ammesso che non c'era alcuna intenzione di vincere il referendum.
che era una trovata politica affinchè il suo partito avesse un minimo di visibilità e tornasse alla ribalta nel panorama UK.
nessuno che ha appoggiato la BREXIT aveva la reale convinzione che si potesse vincere.

e invece...una scelta epocale del genere è stata determinata in particolare dall'aggressività del web che ha pompato di fake news gran parte degli indecisi smuovendo un consenso inaspettato. 
nemmeno la politica oggi è in grado di controllare il suo consenso (controllare significa in questo caso far sì che il loro fine politico sia davvero chiaro).

vogliamo parlare di cambridge analytica?
dell'influenza degli scam russi sulle passate elezioni americane?

quando mai i russi sono riusciti ad inserirsi nel sistema democratico americano arrivando ad influenzarne con mezzi di disinformazione persino le stesse elezioni? 

te lo dico io, mai.
guarda che la mia non era una critica, eh, condivido le tue preoccupazioni.
Libertà non è sinonimo di "far bene", averla è una responsabilità grossa
Ma dato che si discuteva sul fatto che oggi si fosse censurati di continio, ripeto: <no, non mi sembra>, e proprio i dati che mi citi mi sembra che dimostrino che tu te ne augureresti ben meno di questa libertà di scrivere boiate online da parte di chiunque

guarda, posto che il mondo del web temo sia incontrollabile per certi versi, mi accontenterei già solo del fatto che le tv e i giornali mainstream tornassero ad offire un'informazione un minimo più variegata e approfondita.
ma tra PC, cancel culture e filtri politici di ogni genere temo sia speranza vana.

 

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Re: Politica Internazionale

Messaggio da lelomb » 02/03/2024, 14:31


@GecGreek la situazione questa è... scrollare i commenti e uscirne ottimisti ci vuol tanta fiducia e manco si può dire sia pieno di bot.

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Re: Politica Internazionale

Messaggio da GecGreek » 02/03/2024, 15:27

lelomb ha scritto: 02/03/2024, 14:31
@GecGreek la situazione questa è... scrollare i commenti e uscirne ottimisti ci vuol tanta fiducia e manco si può dire sia pieno di bot.
Qua oltre a tutto quel che dicevo c'è pure un bias di selezione avverso, i più pazzi e senza freni sono i più portati a commentare. Oltre a quelli più indignati. Internet è sia queste poche centinaia di commenti che i milioni di visualizzazioni per gli interventi al festival della mente di Barbero.

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Re: Politica Internazionale

Messaggio da lelomb » 02/03/2024, 16:11

Ma io son concordo con te, però i numeri ad oggi non sono dalla nostra.
Spero che tempo sia clemente.

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Re: Politica Internazionale

Messaggio da Goffredo Mamelucchi » 03/03/2024, 20:12

Bluto Blutarsky ha scritto: 01/03/2024, 14:54
Noodles ha scritto: 01/03/2024, 14:28 c'è modo e modo di mettere in dubbio i valori e la nostra conoscenza, mica l'interpretazione della storia è immutabile.
ma il tentativo che si compie oggi (esempio recente: Omero censurato da alcune università americane perchè rappresentazione del maschio alpha) è figlio dell'ignoranza. L'illusione che la forma possa determinare il contenuto.

È figlio dell'ignoranza, e di una mentalità che oggi va per la maggiore: l'idea che il passato (ma direi il mondo in generale) non vada studiato o compreso, ma giudicato.

Ci si mette su un piedistallo e si pretende di distinguere i buoni e i cattivi, senza capire che &quot;buoni&quot; e &quot;cattivi&quot; è un fatto culturale, e come tale mutevole. Magari fra duecento anni saremo tutti considerati dei mostri per motivi che oggi non ci immaginiamo, ad esempio perché mangiamo la carne.

È quella stessa mentalità per cui la gente tira giù le statue (ovviamente è sempre una minoranza rumorosa a farlo, non ho notizie di consultazioni democratiche tra gli abitanti di un quartiere per sapere se la maggioranza vuole o non vuole quella statua).

Omero va studiato non perché si condivida quella cultura, questo sarebbe l'atteggiamento di un moralista, non di uno studioso. Lo si studia per conoscere come pensavano gli uomini nella Grecia arcaica. Ma è talmente ovvio che è mortificante doverlo precisare.

Se non ricordo male, ed è abbastanza ironica la cosa, la questione di Omero era da ricondursi a un po' di sana disinformazione italiana.

Mi sembra che tra le persone non native digitali (tra cui ci sono anche io trentaduenne) regni una grande confusione quando ci si trova a commentare fenomeni pop che non si sa inquadrare nelle loro dimensioni e soprattutto negli strumenti attraverso i quali questi fenomeni nascono e crescono. E sottolineo fenomeni pop: raramente trovo commenti sul politicamente corretto che non si basino su un aneddoto succoso e allettante come quello di Omero (l'aneddoto è quella cosa il cui plurale non è "statistica", ma semplicemente "aneddoti"), di nessuna importanza dal punto di vista statistico anche se fosse vero, e che comunque, tanto per non sbagliarsi, difficilmente resiste anche al più superficiale degli approfondimenti.

Altro fattore da ricordare bene: nell'Occidente, ma non solo, le generazioni odierne, soprattutto le donne, sono molto più istruite di un tempo (anche soltanto trent'anni fa), cosa che si applica persino a noi italiani che studiamo relativamente poco rispetto agli altri paesi ricchi. Quindi ok che è difficile, nell'epoca della frammentazione sociale, politica e informativa, trovare le informazioni "vere", ma le nuove generazioni hanno sempre più armi per farlo, poiché stanno crescendo con gli strumenti del futuro, cioè del presente, e studiano anche di più, cosa che su questi temi è fondamentale. Cosa può succedere, nella peggiore delle ipotesi? Che si formino taboo e cose che sarebbe da devianti dire, esattamente come in tutto il resto della storia dell'umanità incluso il recente passato?
 
Bluto Blutarsky ha scritto: 01/03/2024, 20:33
Ang88 ha scritto: 01/03/2024, 17:45 ho letto <una volta non avevamo paura delle parole>, <una volta non era un problema>, ecc., ma non vi viene in mente che magari:
1-una volta avessero altri problemi che stare a vedere quello che dicevano nei film trash?
2-una volta potevano non avere la coscienza, la maturità o la possibilità di opporsi a ciò che non gli andava bene?
3-una volta ce ne saremmo semplicemente fottuti di ciò che a loro poteva andare bene o male?

Onestamente a me sembra che l'ossessione per il controllo del linguaggio sia una caratteristica tutta contemporanea.
Lo dimostra il fatto che non sono soltanto le minoranze, o quelli che una volta non avevano voce, a invocare quotidianamente una &quot;pulizia&quot; delle parole (il che è anche giusto). Lo fanno praticamente tutti.

Elenco incompleto dei primissimi esempi che mi vengono in mente per averli letti di recente:
_ Non si dovrebbe più dire &quot;spazzino&quot; e &quot;prostituta&quot; e &quot;commesso&quot; e così via ma &quot;operatore ecologico&quot; e &quot;Sex worker&quot; e &quot;consulente di vendita&quot; e così via.
_ Non si dovrebbe più dire &quot;la padrona di quel cane&quot; perché gli animali non hanno padroni
_ Non si dovrebbe più dire &quot;lottare contro il cancro&quot; (che non è una bella espressione, sono d'accordo, ma se uno annuncia &quot;Sto lottando contro il cancro&quot; l'ultima cosa che mi verrebbe in mente di fare è dirgli di fare attenzione alle parole).
_ Non si dovrebbe usare le malattie in senso figurato (come ad esempio dire &quot;Sono schizofrenico&quot; o &quot;Ho l'alzheimer&quot; o &quot;Sono sordo&quot; se non ho davvero una di queste patologie)
_ Non si dovrebbe dire a una ragazza cose tipo &quot;Forse non è prudente andare nuda di notte in un quartiere malfamato&quot; perché è colpevolizzazione secondaria
_ Non si dovrebbe più dire &quot;La mia donna&quot; o &quot;Da uomo a uomo&quot; o &quot;Porto fuori la mia donna&quot; perché è patriarcato (&quot;Il mio uomo&quot; o &quot;Da donna a donna&quot; invece vanno bene. Se, cambiando il sesso del soggetto, un'espressione orrenda diventa innocua forse non era così orrenda)
_ Non si dovrebbe più dire &quot;soffro di dislessia&quot; perché, essendo un disturbo e non una malattia, non si soffre ma si è affetti
_ Non si dovrebbe più dire che Elliot Page prima si chiamava Ellen perché è deadnaming
_ Non si dovrebbe più usare la parola &quot;merito&quot; riguardo agli studenti (nonostante sia nella Costituzione)
e ognuno di voi sicuramente ha altri mille esempi in mente.

Questo per dire che anche l'attivismo è un fatto culturale, e si esprime in ogni epoca secondo la mentalità che va per la maggiore in quel momento. Io non ce lo vedo Mario Mieli lamentarsi perché in un film viene usata l'espressione &quot;finocchio&quot;, allora il movimento gay aveva altri bersagli. Ed era molto più libertario come indole.

Lo stesso vale per il femminismo. Come forse sapete c'è una polemica in corso da anni fra le femministe della vecchia scuola e quelle più giovani, con le prime che criticano le seconde (la semplifico, ma il senso è quello) per il fatto di occuparsi di cazzate - come appunto il linguaggio - invece di puntare alle battaglie davvero importanti. Possiamo dare ragione alle une o alle altre, ma che oggi le parole siano un bersaglio più che in altre epoche mi sembra abbastanza fuori discussione.
Quelle frasi che hai elencato sono tutte cose che chiunque può dire serenamente. Proprio sereno e convinto, se così crede. Certamente, ne può nascere una discussione, nel privato così come nella pubblica piazza. Se questo è qualcosa per cui danneggi il tuo datore di lavoro, potrebbe trovare il modo di fartela pagare (pensa te!). C'è qualcosa di nuovo in questo? Perché se così fosse, sarebbe come dire che qualche decennio fa non esisteva una sfera pubblica e privata in cui si potesse discutere animatamente dei temi cari alle persone – che è falso, per quanto su certi temi ci fosse ben poca attenzione e conseguente discussione, quantomeno nella sfera privata.

Se non ti sembra sano che il linguaggio e le opinioni siano commentate e criticate, mi domando: che tipo di diritto di opinione avresti in mente e che tipo di situazione c'era, nel passato che ricordi? Ti sembra strano che termini dati per scontati nel passato vengano rivisti e criticati con l'avanzare del tempo - che, e mi sembra strano doverlo notare, è una storia vecchia quanto il linguaggio umano?

Gli esseri umani hanno sempre osteggiato chi adotta e rappresenta norme sociali e convenzioni diverse dalle proprie. Sempre. Le norme sociali sono, detta in breve e secondo C. Bicchieri, quelle regole di comportamento che vengono seguite a condizione che si pensi che la maggioranza della propria cerchia sociale a) le segua, e b) desideri che debbano essere seguite dagli altri, sanzionando il comportamento deviante in negativo e quello conforme in positivo. Suona familiare? 

La società di oggi è estremamente più atomizzata e frammentata, quindi aumentano a dismisura le occasioni di competizione tra norme sociali contrastanti, nell'interazione tra persone dalle più disparate caratteristiche e retroterra. Tutto questo è molto difficile da analizzare per un singolo cervello (speriamo nell'AI allineata, altrimenti son dolori).
Questa difficoltà non dovrebbe, credo, farci cadere in una sorta di allucinazione per cui sembrano avere valenza generale casi singoli (aneddotici) o addirittura "i commenti su internet", che sono, credo, uno degli argomenti più assurdi che la mente umana abbia mai concepito (poiché non rappresentano nulla, nemmeno gli stessi commentatori), e che pure la fanno da padrone in questo tipo di dibattiti e così facendo tradiscono la loro natura frivola, fortemente saldata alla società dello spettacolo, seppur in modo inconscio poiché chi se ne fa portavoce non ha proprio capito come funzionano tecnicamente i mezzi di oggi (gli algoritmi che decidono la rilevanza delle cose).

In altre parole: sì, oggi lo fanno tutti, forse; ma quando l'essere umano ha a cuore un tema, si comporta così, con i mezzi che ha e nei limiti che gli vengono imposti dalle regole sociali, informali e formali, vigenti nel suo ambiente di riferimento.
Le differenze col passato:
- ci sono più contrasti per via di una società fortemente frammentata;
- ci sono, forse, meno limiti, o sono meno pervasivi;
- i contrasti sono di gran lunga più evidenti perché esistono nuove tecnologie dal funzionamento ancora non intimamente assorbito dai non nativi digitali;
- le persone possono esprimere in modo più visibile, anche se perlopiù in modo velleitario e solitamente anonimo, le proprie rimostranze e più in generale le proprie opinioni;
- ci troviamo davanti a una mole enorme di interazioni informi che non abbiamo ancora gli strumenti per analizzare a dovere, con il risultato che ci sfugge completamente la portata di queste informazioni (cioè: non sappiamo né qualificarle né quantificarle);
- di conseguenza, da una parte non sappiamo prevedere quando certi "cluster" di interazione porteranno a degli effetti valanga, ma, allo stesso modo e molto più spesso, non capiamo nemmeno quanto profondamente insignificanti e non rappresentative siano alcune interazioni su cui la nostra attenzione viene portata dall'apparato informativo più tradizionale (giornali, radio, partiti, campagne elettorali, gruppi militanti... che, correttamente, identifica nei contenuti più frivoli e divisivi ciò che ci interessa in modo più primordiale).

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Re: Politica Internazionale

Messaggio da The Patient » 03/03/2024, 23:35

Bluto Blutarsky ha scritto: 01/03/2024, 10:15 una comicità politicamente corretta è una contraddizione in termini, ma anche il politicamente scorretto è un'arma delicata, bisogna saperla maneggiare. Perché per un Ricky Gervais che la utilizza consapevolmente, ci sono Pio e Amedeo che la usano come scusa per giustificare la loro comicità becera.

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Re: Politica Internazionale

Messaggio da esba » 04/03/2024, 9:41

BomberDede ha scritto: 01/03/2024, 17:11
Buccaneer ha scritto: 01/03/2024, 16:51

Si può disquisire a lungo sul tono, su quanto abbia ragione, sul quanto ci sia da intervenire o meno.
Ma IMHO il paragone sul modus operandi Hitler - Putin non è affatto campato per aria. Anche il (primo) nazista è partito con l'Austria, poi visto che nessuno ha fiatato ha continuato con la Polonia, il resto è storia. Putin sta facendo lo stesso con una scusa patetica (per chi ha un minimo di cervello), a te chi assicura che dandogli l'Ucraina oggi non arrivi a prendersi il Baltico e il resto domani? C'è da essere seriamente preoccupati (cit.)

detto che Putin va fermato per x mila motivi diversi io stempererei la storia che arriverà chissà dove.
Non per mancanza di volontà ma per mancanza di capacità e abilità russa. Questa Russia odierna non ha assolutamente la possibilità di fare grandi conquiste, si vede dalla guerra in Ucraina: andrà a finire che forse “vinceranno” ma è un paese in enorme declino con i decenni contati (nel senso che se davvero entro 2040-50 riusciamo non dico a superare ma a ridurre l’impatto dei combustibili fossili con la storica incapacità e malaffare russo questi davvero avranno le pezze al culo). È il canto del cigno di un ex potenza. Un po’ Suez per la Gran Bretagna 

Questo post is the new:
- le sanzioni piegheranno Putin.
SOLITO POST AGGRESSIVO...cit

alla riscossa stupidi, che i fiumi sono in piena, potete stare a galla...

https://twitter.com/dannyvietti/status/ ... 48193?s=21

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Re: Politica Internazionale

Messaggio da frog » 04/03/2024, 15:38

Bluto Blutarsky ha scritto: 01/03/2024, 20:33


Elenco incompleto dei primissimi esempi che mi vengono in mente per averli letti di recente:
_ Non si dovrebbe più dire &quot;spazzino&quot; e &quot;prostituta&quot; e &quot;commesso&quot; e così via ma &quot;operatore ecologico&quot; e &quot;Sex worker&quot; e &quot;consulente di vendita&quot; e così via.
_ Non si dovrebbe più dire &quot;la padrona di quel cane&quot; perché gli animali non hanno padroni
_ Non si dovrebbe più dire &quot;lottare contro il cancro&quot; (che non è una bella espressione, sono d'accordo, ma se uno annuncia &quot;Sto lottando contro il cancro&quot; l'ultima cosa che mi verrebbe in mente di fare è dirgli di fare attenzione alle parole).
_ Non si dovrebbe usare le malattie in senso figurato (come ad esempio dire &quot;Sono schizofrenico&quot; o &quot;Ho l'alzheimer&quot; o &quot;Sono sordo&quot; se non ho davvero una di queste patologie)
_ Non si dovrebbe dire a una ragazza cose tipo &quot;Forse non è prudente andare nuda di notte in un quartiere malfamato&quot; perché è colpevolizzazione secondaria
_ Non si dovrebbe più dire &quot;La mia donna&quot; o &quot;Da uomo a uomo&quot; o &quot;Porto fuori la mia donna&quot; perché è patriarcato (&quot;Il mio uomo&quot; o &quot;Da donna a donna&quot; invece vanno bene. Se, cambiando il sesso del soggetto, un'espressione orrenda diventa innocua forse non era così orrenda)
_ Non si dovrebbe più dire &quot;soffro di dislessia&quot; perché, essendo un disturbo e non una malattia, non si soffre ma si è affetti
_ Non si dovrebbe più dire che Elliot Page prima si chiamava Ellen perché è deadnaming
_ Non si dovrebbe più usare la parola &quot;merito&quot; riguardo agli studenti (nonostante sia nella Costituzione)


Sarei curioso di sapere con che percentuale i diretti interessati, si sentono offesi ad essere chiamati così.

Meglio chiamare una prostituta, prostituta, ma trattarla da essere umano o chiamarla sex worker trattandola da oggetto ?

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Re: Politica Internazionale

Messaggio da Noodles » 04/03/2024, 16:21

Usa, la Corte suprema dà il via libera a Trump: “Può correre per la Casa Bianca”


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Re: Politica Internazionale

Messaggio da Leviathan » 04/03/2024, 16:29

Noodles ha scritto: 04/03/2024, 16:21 Usa, la Corte suprema dà il via libera a Trump: “Può correre per la Casa Bianca”


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Ha già pronte le scarpe. :shades:

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Re: Politica Internazionale

Messaggio da Noodles » 04/03/2024, 17:18

Bluto Blutarsky ha scritto: 01/03/2024, 20:33 Onestamente a me sembra che l'ossessione per il controllo del linguaggio sia una caratteristica tutta contemporanea.
Lo dimostra il fatto che non sono soltanto le minoranze, o quelli che una volta non avevano voce, a invocare quotidianamente una &quot;pulizia&quot; delle parole (il che è anche giusto). Lo fanno praticamente tutti.

Elenco incompleto dei primissimi esempi che mi vengono in mente per averli letti di recente:
_ Non si dovrebbe più dire &quot;spazzino&quot; e &quot;prostituta&quot; e &quot;commesso&quot; e così via ma &quot;operatore ecologico&quot; e &quot;Sex worker&quot; e &quot;consulente di vendita&quot; e così via.
_ Non si dovrebbe più dire &quot;la padrona di quel cane&quot; perché gli animali non hanno padroni
_ Non si dovrebbe più dire &quot;lottare contro il cancro&quot; (che non è una bella espressione, sono d'accordo, ma se uno annuncia &quot;Sto lottando contro il cancro&quot; l'ultima cosa che mi verrebbe in mente di fare è dirgli di fare attenzione alle parole).
_ Non si dovrebbe usare le malattie in senso figurato (come ad esempio dire &quot;Sono schizofrenico&quot; o &quot;Ho l'alzheimer&quot; o &quot;Sono sordo&quot; se non ho davvero una di queste patologie)
_ Non si dovrebbe dire a una ragazza cose tipo &quot;Forse non è prudente andare nuda di notte in un quartiere malfamato&quot; perché è colpevolizzazione secondaria
_ Non si dovrebbe più dire &quot;La mia donna&quot; o &quot;Da uomo a uomo&quot; o &quot;Porto fuori la mia donna&quot; perché è patriarcato (&quot;Il mio uomo&quot; o &quot;Da donna a donna&quot; invece vanno bene. Se, cambiando il sesso del soggetto, un'espressione orrenda diventa innocua forse non era così orrenda)
_ Non si dovrebbe più dire &quot;soffro di dislessia&quot; perché, essendo un disturbo e non una malattia, non si soffre ma si è affetti
_ Non si dovrebbe più dire che Elliot Page prima si chiamava Ellen perché è deadnaming
_ Non si dovrebbe più usare la parola &quot;merito&quot; riguardo agli studenti (nonostante sia nella Costituzione)
e ognuno di voi sicuramente ha altri mille esempi in mente.

Questo per dire che anche l'attivismo è un fatto culturale, e si esprime in ogni epoca secondo la mentalità che va per la maggiore in quel momento. Io non ce lo vedo Mario Mieli lamentarsi perché in un film viene usata l'espressione &quot;finocchio&quot;, allora il movimento gay aveva altri bersagli. Ed era molto più libertario come indole.


Rampini oggi scrive un articolo sul corriere molto in tema con ciò di cui discutevamo la scorsa settimana.
Tra l'altro Rampini per me è un ottimo giornalista, sulla questione woke sta provando a fare vera informazione, sulle guerre in corso viceversa lo vedo e sento sempre fin troppo filoamericano.

La riporto a pezzetti perchè francamente leggendo queste parole (di una ragazza italiana che lavora presso una istituzione culturale a New York) ho rivisto le numerose testimonianze di ragazzi che frequentano le università americane :

«Ho 42 anni, arrivai dal Veneto a New York nel 2009 e me ne innamorai subito. Dovevo rimanere per uno stage di pochi mesi, sono ancora qui. Oggi però stento a riconoscerla. In Italia mi considero una progressista, perfino radicale. A New York ora devo scusarmi in continuazione per essere bianca, quindi privilegiata e incapace di capire le minoranze etniche. Sono catalogata dalla parte degli oppressori. Passo il mio tempo a camminare sulle uova, a dribblare le regole della cultura woke, qualsiasi cosa dica o faccia può essere condannata come una micro-offesa rivolta contro afroamericani o latinos».

si è iscritta a un Master della Columbia University, dove si formano appunto gli assistenti sociali. Nonostante abiti qui da 15 anni, non era abbastanza preparata a quel che l’aspettava dentro la prestigiosa università newyorchese.
«Per le prove di ammissione — racconta — ho dovuto scrivere un saggio in cui anticipavo quale sarà il mio impegno nel razzismo anti-black, perché è un dogma che il vero razzismo è solo quello di noi bianchi contro i neri. Sono stata esclusa dal corso a cui ero più interessata, sull’assistenza ai tossicodipendenti, perché i non-bianchi hanno la precedenza. Nella settimana iniziale del Master dedicata all’orientamento dei nuovi iscritti, a noi studenti bianchi è stato chiesto di scusarci con i compagni di corso neri per il razzismo di cui siamo portatori. E devo aggiungere questo dettaglio: perfino una studentessa afroamericana mi si è avvicinata per confessarmi il suo imbarazzo, lei stessa trovava quella situazione mortificante. Ogni due settimane una bianca come me deve partecipare a una riunione di White Accountability(“responsabilità bianca”): due ore con una persona che ci interroga per farci riconoscere le nostre micro-aggressioni verso i neri e chiederci un pentimento».


Cosa s’intende per micro-aggressioni, le chiedo? «C’è un lunghissimo elenco di frasi proibite, perché considerate offensive. Per esempio, non bisogna mai chiedere a un compagno di studi da dove viene: può suonare come un’implicita discriminazione etnica. Guai a chiedere verso quale campo di studi si orienta: se è nero quella parola può evocare una piantagione di cotone dove lavoravano i suoi antenati schiavi, se è di origini messicane un terreno agricolo dove suo nonno era bracciante. Se cadi in una di queste offese, devi dichiararla e chiedere scusa, poi fare un’analisi del privilegio bianco che ti ha indotto in errore».
Pentimento
In parallelo, mentre lei partecipa a queste sessioni di auto-denuncia e pentimento, i suoi compagni di studi afroamericani si riuniscono nel Black Women o Black Men Safe Space («spazio sicuro»): «È il momento a loro riservato per denunciare le micro-aggressioni di noi bianchi, e mettere sotto accusa la Columbia se non affronta in modo adeguato il privilegio bianco, il razzismo sistemico». La quarantenne italiana non ha rinunciato al suo sogno di aiutare i più deboli. Prima o poi ci riuscirà, a fare l’assistente sociale. È delusa però dalla qualità della formazione che le fornisce una delle università più prestigiose del mondo. «Tutti i corsi della Columbia devono essere insegnati nell’ottica del Prop: Potere Razzismo Oppressione Privilegio. Io riconosco che un’assistente sociale deve essere informata su tutte le ingiustizie, deve conoscere tutti i fattori di disagio sociale. Ma catalogarci nelle categorie binarie di oppressore/oppresso non aiuta a conoscere la realtà. Un’assistente sociale dovrebbe occuparsi dell’essere umano, non incasellarlo in definizioni ideologiche».

Incidenti
Tra gli incidenti che ricorda, c’è il corso in cui le fu chiesto di commentare un’intervista-podcast con un’adolescente nera durante la pandemia, una 14enne di Minneapolis. L.T. osò dirsi «colpita che un’adolescente fosse già tanto consapevole del trauma generazionale». Frase in codice: secondo la Critical Race Theory, che è il Vangelo delle università americane, il trauma generazionale è quello ereditato da chi discende da schiavi neri. «Sono stata messa sotto accusa da tre studenti: ecco, si vede il tuo privilegio, se tu fossi nera sapresti già da bambina cos’è il tuo trauma generazionale».
Un dogma che lei ha appreso frequentando il Master alla Columbia riguarda una minoranza sotto tiro di questi tempi, oggetto di minacce e aggressioni. Gli ebrei non sono tutti uguali. «La regola è che gli ebrei ashkenaziti, di origine est-europea, sono bianchi quindi oppressori, gli ebrei sefarditi di origine mediorientale hanno il diritto a stare nella categoria degli oppressi». Una sua compagna di studi ebrea-americana in classe ha raccontato di nascondere la propria origine per non correre rischi, ma prima di farlo si è profusa in scuse verso i compagni neri per aver osato descriversi come una vittima. Un episodio ha colpito l’italiana dopo la strage di Hamas del 7 ottobre. «Una docente ha organizzato un dibattito invitando un palestinese e un ebreo rigorosamente filo-palestinese. Nelle valutazioni che gli studenti fanno dei professori, quell’evento le è stato contestato perché nel dibattito mancava un portavoce di Hamas».


Ora che s’immerge in un campus così dottrinario, le torna in mente un episodio precursore, che avrebbe dovuto prepararla a quel che sta vivendo. «Durante la pandemia — ricorda L.T. — partecipavo a uno dei gruppi di mutuo soccorso a Brooklyn, in 1.500 volontari aiutavamo soprattutto i più poveri, gli immigrati clandestini rimasti senza nessuna assistenza. Nel quartiere di Bushwick a guidare i volontari era una donna bianca. Quando si è saputo, è stata crocifissa sui social: l’incolparono di neocolonialismo. Dovette dimettersi. Alcuni black del suo quartiere osarono difenderla: a loro volta sono stati accusati di avere introiettato il razzismo, e di avere il complesso del salvatore bianco». L.T. conosce dei neri che si ribellano a questa dittatura ideologica. «Una mia compagna afroamericana è stufa di vedersi rappresentare come un’eterna vittima bisognosa di risarcimenti. Lei dice: così mi viene tolta ogni auto-determinazione, in questa ideologia è escluso che io possa riscattarmi da sola, con le mie capacità e per merito mio».


francamente non so se ridere o piangere.
staremmo parlando qui delle migliori menti del paese, o perlomeno a livello teorico dovrebbe essere così.

la distinzione della razza ebrea poi...colpo da maestro, nel mentre vogliono il rispetto assoluto delle minoranze...ne creano di nuove  :forza:

io tutta questa roba qui la sento spesso e sta invadendo anche il nostro sistema educativo europeo (andatevi a vedere come stanno cambiando i programmi scolastici in Spagna).

i risultati lo ripeto secondo me nel medio-lungo periodo saranno disastrosi.
semplifico (anche perchè abbiamo già approfondito nei giorni scorsi) e ignorando la questione del merito (che di per sè è totalmente defunta in questo processo) : più regole di condotta linguistica (e comportamentale) implicano più limitazioni al pensiero libero e creativo. Più si etichettano le persone (soprattutto quelli oppressi) e più inconsciamente si rafforza l'idea latente della differenziazione sociale.
più si perseguono persone per il modo in cui espongono i loro pensieri e più i pensieri saranno semplici, riduttivi ed indirizzati.
 

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Re: Politica Internazionale

Messaggio da esba » 04/03/2024, 17:53

Noodles ha scritto: 04/03/2024, 17:18
&quot;Bluto Blutarsky&quot; ha scritto: 01/03/2024, 20:33 Onestamente a me sembra che l'ossessione per il controllo del linguaggio sia una caratteristica tutta contemporanea.
Lo dimostra il fatto che non sono soltanto le minoranze, o quelli che una volta non avevano voce, a invocare quotidianamente una &quot;pulizia&quot; delle parole (il che è anche giusto). Lo fanno praticamente tutti.

Elenco incompleto dei primissimi esempi che mi vengono in mente per averli letti di recente:
_ Non si dovrebbe più dire &quot;spazzino&quot; e &quot;prostituta&quot; e &quot;commesso&quot; e così via ma &quot;operatore ecologico&quot; e &quot;Sex worker&quot; e &quot;consulente di vendita&quot; e così via.
_ Non si dovrebbe più dire &quot;la padrona di quel cane&quot; perché gli animali non hanno padroni
_ Non si dovrebbe più dire &quot;lottare contro il cancro&quot; (che non è una bella espressione, sono d'accordo, ma se uno annuncia &quot;Sto lottando contro il cancro&quot; l'ultima cosa che mi verrebbe in mente di fare è dirgli di fare attenzione alle parole).
_ Non si dovrebbe usare le malattie in senso figurato (come ad esempio dire &quot;Sono schizofrenico&quot; o &quot;Ho l'alzheimer&quot; o &quot;Sono sordo&quot; se non ho davvero una di queste patologie)
_ Non si dovrebbe dire a una ragazza cose tipo &quot;Forse non è prudente andare nuda di notte in un quartiere malfamato&quot; perché è colpevolizzazione secondaria
_ Non si dovrebbe più dire &quot;La mia donna&quot; o &quot;Da uomo a uomo&quot; o &quot;Porto fuori la mia donna&quot; perché è patriarcato (&quot;Il mio uomo&quot; o &quot;Da donna a donna&quot; invece vanno bene. Se, cambiando il sesso del soggetto, un'espressione orrenda diventa innocua forse non era così orrenda)
_ Non si dovrebbe più dire &quot;soffro di dislessia&quot; perché, essendo un disturbo e non una malattia, non si soffre ma si è affetti
_ Non si dovrebbe più dire che Elliot Page prima si chiamava Ellen perché è deadnaming
_ Non si dovrebbe più usare la parola &quot;merito&quot; riguardo agli studenti (nonostante sia nella Costituzione)
e ognuno di voi sicuramente ha altri mille esempi in mente.

Questo per dire che anche l'attivismo è un fatto culturale, e si esprime in ogni epoca secondo la mentalità che va per la maggiore in quel momento. Io non ce lo vedo Mario Mieli lamentarsi perché in un film viene usata l'espressione &quot;finocchio&quot;, allora il movimento gay aveva altri bersagli. Ed era molto più libertario come indole.


Rampini oggi scrive un articolo sul corriere molto in tema con ciò di cui discutevamo la scorsa settimana.
Tra l'altro Rampini per me è un ottimo giornalista, sulla questione woke sta provando a fare vera informazione, sulle guerre in corso viceversa lo vedo e sento sempre fin troppo filoamericano.

La riporto a pezzetti perchè francamente leggendo queste parole (di una ragazza italiana che lavora presso una istituzione culturale a New York) ho rivisto le numerose testimonianze di ragazzi che frequentano le università americane :

«Ho 42 anni, arrivai dal Veneto a New York nel 2009 e me ne innamorai subito. Dovevo rimanere per uno stage di pochi mesi, sono ancora qui. Oggi però stento a riconoscerla. In Italia mi considero una progressista, perfino radicale. A New York ora devo scusarmi in continuazione per essere bianca, quindi privilegiata e incapace di capire le minoranze etniche. Sono catalogata dalla parte degli oppressori. Passo il mio tempo a camminare sulle uova, a dribblare le regole della cultura woke, qualsiasi cosa dica o faccia può essere condannata come una micro-offesa rivolta contro afroamericani o latinos».

si è iscritta a un Master della Columbia University, dove si formano appunto gli assistenti sociali. Nonostante abiti qui da 15 anni, non era abbastanza preparata a quel che l’aspettava dentro la prestigiosa università newyorchese.
«Per le prove di ammissione — racconta — ho dovuto scrivere un saggio in cui anticipavo quale sarà il mio impegno nel razzismo anti-black, perché è un dogma che il vero razzismo è solo quello di noi bianchi contro i neri. Sono stata esclusa dal corso a cui ero più interessata, sull’assistenza ai tossicodipendenti, perché i non-bianchi hanno la precedenza. Nella settimana iniziale del Master dedicata all’orientamento dei nuovi iscritti, a noi studenti bianchi è stato chiesto di scusarci con i compagni di corso neri per il razzismo di cui siamo portatori. E devo aggiungere questo dettaglio: perfino una studentessa afroamericana mi si è avvicinata per confessarmi il suo imbarazzo, lei stessa trovava quella situazione mortificante. Ogni due settimane una bianca come me deve partecipare a una riunione di White Accountability(“responsabilità bianca”): due ore con una persona che ci interroga per farci riconoscere le nostre micro-aggressioni verso i neri e chiederci un pentimento».


Cosa s’intende per micro-aggressioni, le chiedo? «C’è un lunghissimo elenco di frasi proibite, perché considerate offensive. Per esempio, non bisogna mai chiedere a un compagno di studi da dove viene: può suonare come un’implicita discriminazione etnica. Guai a chiedere verso quale campo di studi si orienta: se è nero quella parola può evocare una piantagione di cotone dove lavoravano i suoi antenati schiavi, se è di origini messicane un terreno agricolo dove suo nonno era bracciante. Se cadi in una di queste offese, devi dichiararla e chiedere scusa, poi fare un’analisi del privilegio bianco che ti ha indotto in errore».
Pentimento
In parallelo, mentre lei partecipa a queste sessioni di auto-denuncia e pentimento, i suoi compagni di studi afroamericani si riuniscono nel Black Women o Black Men Safe Space («spazio sicuro»): «È il momento a loro riservato per denunciare le micro-aggressioni di noi bianchi, e mettere sotto accusa la Columbia se non affronta in modo adeguato il privilegio bianco, il razzismo sistemico». La quarantenne italiana non ha rinunciato al suo sogno di aiutare i più deboli. Prima o poi ci riuscirà, a fare l’assistente sociale. È delusa però dalla qualità della formazione che le fornisce una delle università più prestigiose del mondo. «Tutti i corsi della Columbia devono essere insegnati nell’ottica del Prop: Potere Razzismo Oppressione Privilegio. Io riconosco che un’assistente sociale deve essere informata su tutte le ingiustizie, deve conoscere tutti i fattori di disagio sociale. Ma catalogarci nelle categorie binarie di oppressore/oppresso non aiuta a conoscere la realtà. Un’assistente sociale dovrebbe occuparsi dell’essere umano, non incasellarlo in definizioni ideologiche».

Incidenti
Tra gli incidenti che ricorda, c’è il corso in cui le fu chiesto di commentare un’intervista-podcast con un’adolescente nera durante la pandemia, una 14enne di Minneapolis. L.T. osò dirsi «colpita che un’adolescente fosse già tanto consapevole del trauma generazionale». Frase in codice: secondo la Critical Race Theory, che è il Vangelo delle università americane, il trauma generazionale è quello ereditato da chi discende da schiavi neri. «Sono stata messa sotto accusa da tre studenti: ecco, si vede il tuo privilegio, se tu fossi nera sapresti già da bambina cos’è il tuo trauma generazionale».
Un dogma che lei ha appreso frequentando il Master alla Columbia riguarda una minoranza sotto tiro di questi tempi, oggetto di minacce e aggressioni. Gli ebrei non sono tutti uguali. «La regola è che gli ebrei ashkenaziti, di origine est-europea, sono bianchi quindi oppressori, gli ebrei sefarditi di origine mediorientale hanno il diritto a stare nella categoria degli oppressi». Una sua compagna di studi ebrea-americana in classe ha raccontato di nascondere la propria origine per non correre rischi, ma prima di farlo si è profusa in scuse verso i compagni neri per aver osato descriversi come una vittima. Un episodio ha colpito l’italiana dopo la strage di Hamas del 7 ottobre. «Una docente ha organizzato un dibattito invitando un palestinese e un ebreo rigorosamente filo-palestinese. Nelle valutazioni che gli studenti fanno dei professori, quell’evento le è stato contestato perché nel dibattito mancava un portavoce di Hamas».


Ora che s’immerge in un campus così dottrinario, le torna in mente un episodio precursore, che avrebbe dovuto prepararla a quel che sta vivendo. «Durante la pandemia — ricorda L.T. — partecipavo a uno dei gruppi di mutuo soccorso a Brooklyn, in 1.500 volontari aiutavamo soprattutto i più poveri, gli immigrati clandestini rimasti senza nessuna assistenza. Nel quartiere di Bushwick a guidare i volontari era una donna bianca. Quando si è saputo, è stata crocifissa sui social: l’incolparono di neocolonialismo. Dovette dimettersi. Alcuni black del suo quartiere osarono difenderla: a loro volta sono stati accusati di avere introiettato il razzismo, e di avere il complesso del salvatore bianco». L.T. conosce dei neri che si ribellano a questa dittatura ideologica. «Una mia compagna afroamericana è stufa di vedersi rappresentare come un’eterna vittima bisognosa di risarcimenti. Lei dice: così mi viene tolta ogni auto-determinazione, in questa ideologia è escluso che io possa riscattarmi da sola, con le mie capacità e per merito mio».


francamente non so se ridere o piangere.
staremmo parlando qui delle migliori menti del paese, o perlomeno a livello teorico dovrebbe essere così.

la distinzione della razza ebrea poi...colpo da maestro, nel mentre vogliono il rispetto assoluto delle minoranze...ne creano di nuove  :forza:

io tutta questa roba qui la sento spesso e sta invadendo anche il nostro sistema educativo europeo (andatevi a vedere come stanno cambiando i programmi scolastici in Spagna).

i risultati lo ripeto secondo me nel medio-lungo periodo saranno disastrosi.
semplifico (anche perchè abbiamo già approfondito nei giorni scorsi) e ignorando la questione del merito (che di per sè è totalmente defunta in questo processo) : più regole di condotta linguistica (e comportamentale) implicano più limitazioni al pensiero libero e creativo. Più si etichettano le persone (soprattutto quelli oppressi) e più inconsciamente si rafforza l'idea latente della differenziazione sociale.
più si perseguono persone per il modo in cui espongono i loro pensieri e più i pensieri saranno semplici, riduttivi ed indirizzati.
 

Per arrivare a queste cose che sono follie…penso però a cosa hanno subito per secoli loro.
Altrimenti non c’è spiegazione razionale.

Ciò posto si stanno raggiungendo vette inarrivabili tra moralismo, buonismo ed affini.
SOLITO POST AGGRESSIVO...cit

alla riscossa stupidi, che i fiumi sono in piena, potete stare a galla...

https://twitter.com/dannyvietti/status/ ... 48193?s=21

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Re: Politica Internazionale

Messaggio da GecGreek » 04/03/2024, 18:03

Noodles ha scritto: 04/03/2024, 17:18
&quot;Bluto Blutarsky&quot; ha scritto: 01/03/2024, 20:33 Onestamente a me sembra che l'ossessione per il controllo del linguaggio sia una caratteristica tutta contemporanea.
Lo dimostra il fatto che non sono soltanto le minoranze, o quelli che una volta non avevano voce, a invocare quotidianamente una &quot;pulizia&quot; delle parole (il che è anche giusto). Lo fanno praticamente tutti.

Elenco incompleto dei primissimi esempi che mi vengono in mente per averli letti di recente:
_ Non si dovrebbe più dire &quot;spazzino&quot; e &quot;prostituta&quot; e &quot;commesso&quot; e così via ma &quot;operatore ecologico&quot; e &quot;Sex worker&quot; e &quot;consulente di vendita&quot; e così via.
_ Non si dovrebbe più dire &quot;la padrona di quel cane&quot; perché gli animali non hanno padroni
_ Non si dovrebbe più dire &quot;lottare contro il cancro&quot; (che non è una bella espressione, sono d'accordo, ma se uno annuncia &quot;Sto lottando contro il cancro&quot; l'ultima cosa che mi verrebbe in mente di fare è dirgli di fare attenzione alle parole).
_ Non si dovrebbe usare le malattie in senso figurato (come ad esempio dire &quot;Sono schizofrenico&quot; o &quot;Ho l'alzheimer&quot; o &quot;Sono sordo&quot; se non ho davvero una di queste patologie)
_ Non si dovrebbe dire a una ragazza cose tipo &quot;Forse non è prudente andare nuda di notte in un quartiere malfamato&quot; perché è colpevolizzazione secondaria
_ Non si dovrebbe più dire &quot;La mia donna&quot; o &quot;Da uomo a uomo&quot; o &quot;Porto fuori la mia donna&quot; perché è patriarcato (&quot;Il mio uomo&quot; o &quot;Da donna a donna&quot; invece vanno bene. Se, cambiando il sesso del soggetto, un'espressione orrenda diventa innocua forse non era così orrenda)
_ Non si dovrebbe più dire &quot;soffro di dislessia&quot; perché, essendo un disturbo e non una malattia, non si soffre ma si è affetti
_ Non si dovrebbe più dire che Elliot Page prima si chiamava Ellen perché è deadnaming
_ Non si dovrebbe più usare la parola &quot;merito&quot; riguardo agli studenti (nonostante sia nella Costituzione)
e ognuno di voi sicuramente ha altri mille esempi in mente.

Questo per dire che anche l'attivismo è un fatto culturale, e si esprime in ogni epoca secondo la mentalità che va per la maggiore in quel momento. Io non ce lo vedo Mario Mieli lamentarsi perché in un film viene usata l'espressione &quot;finocchio&quot;, allora il movimento gay aveva altri bersagli. Ed era molto più libertario come indole.


Rampini oggi scrive un articolo sul corriere molto in tema con ciò di cui discutevamo la scorsa settimana.
Tra l'altro Rampini per me è un ottimo giornalista, sulla questione woke sta provando a fare vera informazione, sulle guerre in corso viceversa lo vedo e sento sempre fin troppo filoamericano.

La riporto a pezzetti perchè francamente leggendo queste parole (di una ragazza italiana che lavora presso una istituzione culturale a New York) ho rivisto le numerose testimonianze di ragazzi che frequentano le università americane :

«Ho 42 anni, arrivai dal Veneto a New York nel 2009 e me ne innamorai subito. Dovevo rimanere per uno stage di pochi mesi, sono ancora qui. Oggi però stento a riconoscerla. In Italia mi considero una progressista, perfino radicale. A New York ora devo scusarmi in continuazione per essere bianca, quindi privilegiata e incapace di capire le minoranze etniche. Sono catalogata dalla parte degli oppressori. Passo il mio tempo a camminare sulle uova, a dribblare le regole della cultura woke, qualsiasi cosa dica o faccia può essere condannata come una micro-offesa rivolta contro afroamericani o latinos».

si è iscritta a un Master della Columbia University, dove si formano appunto gli assistenti sociali. Nonostante abiti qui da 15 anni, non era abbastanza preparata a quel che l’aspettava dentro la prestigiosa università newyorchese.
«Per le prove di ammissione — racconta — ho dovuto scrivere un saggio in cui anticipavo quale sarà il mio impegno nel razzismo anti-black, perché è un dogma che il vero razzismo è solo quello di noi bianchi contro i neri. Sono stata esclusa dal corso a cui ero più interessata, sull’assistenza ai tossicodipendenti, perché i non-bianchi hanno la precedenza. Nella settimana iniziale del Master dedicata all’orientamento dei nuovi iscritti, a noi studenti bianchi è stato chiesto di scusarci con i compagni di corso neri per il razzismo di cui siamo portatori. E devo aggiungere questo dettaglio: perfino una studentessa afroamericana mi si è avvicinata per confessarmi il suo imbarazzo, lei stessa trovava quella situazione mortificante. Ogni due settimane una bianca come me deve partecipare a una riunione di White Accountability(“responsabilità bianca”): due ore con una persona che ci interroga per farci riconoscere le nostre micro-aggressioni verso i neri e chiederci un pentimento».


Cosa s’intende per micro-aggressioni, le chiedo? «C’è un lunghissimo elenco di frasi proibite, perché considerate offensive. Per esempio, non bisogna mai chiedere a un compagno di studi da dove viene: può suonare come un’implicita discriminazione etnica. Guai a chiedere verso quale campo di studi si orienta: se è nero quella parola può evocare una piantagione di cotone dove lavoravano i suoi antenati schiavi, se è di origini messicane un terreno agricolo dove suo nonno era bracciante. Se cadi in una di queste offese, devi dichiararla e chiedere scusa, poi fare un’analisi del privilegio bianco che ti ha indotto in errore».
Pentimento
In parallelo, mentre lei partecipa a queste sessioni di auto-denuncia e pentimento, i suoi compagni di studi afroamericani si riuniscono nel Black Women o Black Men Safe Space («spazio sicuro»): «È il momento a loro riservato per denunciare le micro-aggressioni di noi bianchi, e mettere sotto accusa la Columbia se non affronta in modo adeguato il privilegio bianco, il razzismo sistemico». La quarantenne italiana non ha rinunciato al suo sogno di aiutare i più deboli. Prima o poi ci riuscirà, a fare l’assistente sociale. È delusa però dalla qualità della formazione che le fornisce una delle università più prestigiose del mondo. «Tutti i corsi della Columbia devono essere insegnati nell’ottica del Prop: Potere Razzismo Oppressione Privilegio. Io riconosco che un’assistente sociale deve essere informata su tutte le ingiustizie, deve conoscere tutti i fattori di disagio sociale. Ma catalogarci nelle categorie binarie di oppressore/oppresso non aiuta a conoscere la realtà. Un’assistente sociale dovrebbe occuparsi dell’essere umano, non incasellarlo in definizioni ideologiche».

Incidenti
Tra gli incidenti che ricorda, c’è il corso in cui le fu chiesto di commentare un’intervista-podcast con un’adolescente nera durante la pandemia, una 14enne di Minneapolis. L.T. osò dirsi «colpita che un’adolescente fosse già tanto consapevole del trauma generazionale». Frase in codice: secondo la Critical Race Theory, che è il Vangelo delle università americane, il trauma generazionale è quello ereditato da chi discende da schiavi neri. «Sono stata messa sotto accusa da tre studenti: ecco, si vede il tuo privilegio, se tu fossi nera sapresti già da bambina cos’è il tuo trauma generazionale».
Un dogma che lei ha appreso frequentando il Master alla Columbia riguarda una minoranza sotto tiro di questi tempi, oggetto di minacce e aggressioni. Gli ebrei non sono tutti uguali. «La regola è che gli ebrei ashkenaziti, di origine est-europea, sono bianchi quindi oppressori, gli ebrei sefarditi di origine mediorientale hanno il diritto a stare nella categoria degli oppressi». Una sua compagna di studi ebrea-americana in classe ha raccontato di nascondere la propria origine per non correre rischi, ma prima di farlo si è profusa in scuse verso i compagni neri per aver osato descriversi come una vittima. Un episodio ha colpito l’italiana dopo la strage di Hamas del 7 ottobre. «Una docente ha organizzato un dibattito invitando un palestinese e un ebreo rigorosamente filo-palestinese. Nelle valutazioni che gli studenti fanno dei professori, quell’evento le è stato contestato perché nel dibattito mancava un portavoce di Hamas».


Ora che s’immerge in un campus così dottrinario, le torna in mente un episodio precursore, che avrebbe dovuto prepararla a quel che sta vivendo. «Durante la pandemia — ricorda L.T. — partecipavo a uno dei gruppi di mutuo soccorso a Brooklyn, in 1.500 volontari aiutavamo soprattutto i più poveri, gli immigrati clandestini rimasti senza nessuna assistenza. Nel quartiere di Bushwick a guidare i volontari era una donna bianca. Quando si è saputo, è stata crocifissa sui social: l’incolparono di neocolonialismo. Dovette dimettersi. Alcuni black del suo quartiere osarono difenderla: a loro volta sono stati accusati di avere introiettato il razzismo, e di avere il complesso del salvatore bianco». L.T. conosce dei neri che si ribellano a questa dittatura ideologica. «Una mia compagna afroamericana è stufa di vedersi rappresentare come un’eterna vittima bisognosa di risarcimenti. Lei dice: così mi viene tolta ogni auto-determinazione, in questa ideologia è escluso che io possa riscattarmi da sola, con le mie capacità e per merito mio».


francamente non so se ridere o piangere.
staremmo parlando qui delle migliori menti del paese, o perlomeno a livello teorico dovrebbe essere così.

la distinzione della razza ebrea poi...colpo da maestro, nel mentre vogliono il rispetto assoluto delle minoranze...ne creano di nuove  :forza:

io tutta questa roba qui la sento spesso e sta invadendo anche il nostro sistema educativo europeo (andatevi a vedere come stanno cambiando i programmi scolastici in Spagna).

i risultati lo ripeto secondo me nel medio-lungo periodo saranno disastrosi.
semplifico (anche perchè abbiamo già approfondito nei giorni scorsi) e ignorando la questione del merito (che di per sè è totalmente defunta in questo processo) : più regole di condotta linguistica (e comportamentale) implicano più limitazioni al pensiero libero e creativo. Più si etichettano le persone (soprattutto quelli oppressi) e più inconsciamente si rafforza l'idea latente della differenziazione sociale.
più si perseguono persone per il modo in cui espongono i loro pensieri e più i pensieri saranno semplici, riduttivi ed indirizzati.
 
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Re: Politica Internazionale

Messaggio da Noodles » 04/03/2024, 18:04

esba ha scritto: 04/03/2024, 17:53
Noodles ha scritto: 04/03/2024, 17:18

Rampini oggi scrive un articolo sul corriere molto in tema con ciò di cui discutevamo la scorsa settimana.
Tra l'altro Rampini per me è un ottimo giornalista, sulla questione woke sta provando a fare vera informazione, sulle guerre in corso viceversa lo vedo e sento sempre fin troppo filoamericano.

La riporto a pezzetti perchè francamente leggendo queste parole (di una ragazza italiana che lavora presso una istituzione culturale a New York) ho rivisto le numerose testimonianze di ragazzi che frequentano le università americane :

«Ho 42 anni, arrivai dal Veneto a New York nel 2009 e me ne innamorai subito. Dovevo rimanere per uno stage di pochi mesi, sono ancora qui. Oggi però stento a riconoscerla. In Italia mi considero una progressista, perfino radicale. A New York ora devo scusarmi in continuazione per essere bianca, quindi privilegiata e incapace di capire le minoranze etniche. Sono catalogata dalla parte degli oppressori. Passo il mio tempo a camminare sulle uova, a dribblare le regole della cultura woke, qualsiasi cosa dica o faccia può essere condannata come una micro-offesa rivolta contro afroamericani o latinos».

si è iscritta a un Master della Columbia University, dove si formano appunto gli assistenti sociali. Nonostante abiti qui da 15 anni, non era abbastanza preparata a quel che l’aspettava dentro la prestigiosa università newyorchese.
«Per le prove di ammissione — racconta — ho dovuto scrivere un saggio in cui anticipavo quale sarà il mio impegno nel razzismo anti-black, perché è un dogma che il vero razzismo è solo quello di noi bianchi contro i neri. Sono stata esclusa dal corso a cui ero più interessata, sull’assistenza ai tossicodipendenti, perché i non-bianchi hanno la precedenza. Nella settimana iniziale del Master dedicata all’orientamento dei nuovi iscritti, a noi studenti bianchi è stato chiesto di scusarci con i compagni di corso neri per il razzismo di cui siamo portatori. E devo aggiungere questo dettaglio: perfino una studentessa afroamericana mi si è avvicinata per confessarmi il suo imbarazzo, lei stessa trovava quella situazione mortificante. Ogni due settimane una bianca come me deve partecipare a una riunione di White Accountability(“responsabilità bianca”): due ore con una persona che ci interroga per farci riconoscere le nostre micro-aggressioni verso i neri e chiederci un pentimento».


Cosa s’intende per micro-aggressioni, le chiedo? «C’è un lunghissimo elenco di frasi proibite, perché considerate offensive. Per esempio, non bisogna mai chiedere a un compagno di studi da dove viene: può suonare come un’implicita discriminazione etnica. Guai a chiedere verso quale campo di studi si orienta: se è nero quella parola può evocare una piantagione di cotone dove lavoravano i suoi antenati schiavi, se è di origini messicane un terreno agricolo dove suo nonno era bracciante. Se cadi in una di queste offese, devi dichiararla e chiedere scusa, poi fare un’analisi del privilegio bianco che ti ha indotto in errore».
Pentimento
In parallelo, mentre lei partecipa a queste sessioni di auto-denuncia e pentimento, i suoi compagni di studi afroamericani si riuniscono nel Black Women o Black Men Safe Space («spazio sicuro»): «È il momento a loro riservato per denunciare le micro-aggressioni di noi bianchi, e mettere sotto accusa la Columbia se non affronta in modo adeguato il privilegio bianco, il razzismo sistemico». La quarantenne italiana non ha rinunciato al suo sogno di aiutare i più deboli. Prima o poi ci riuscirà, a fare l’assistente sociale. È delusa però dalla qualità della formazione che le fornisce una delle università più prestigiose del mondo. «Tutti i corsi della Columbia devono essere insegnati nell’ottica del Prop: Potere Razzismo Oppressione Privilegio. Io riconosco che un’assistente sociale deve essere informata su tutte le ingiustizie, deve conoscere tutti i fattori di disagio sociale. Ma catalogarci nelle categorie binarie di oppressore/oppresso non aiuta a conoscere la realtà. Un’assistente sociale dovrebbe occuparsi dell’essere umano, non incasellarlo in definizioni ideologiche».

Incidenti
Tra gli incidenti che ricorda, c’è il corso in cui le fu chiesto di commentare un’intervista-podcast con un’adolescente nera durante la pandemia, una 14enne di Minneapolis. L.T. osò dirsi «colpita che un’adolescente fosse già tanto consapevole del trauma generazionale». Frase in codice: secondo la Critical Race Theory, che è il Vangelo delle università americane, il trauma generazionale è quello ereditato da chi discende da schiavi neri. «Sono stata messa sotto accusa da tre studenti: ecco, si vede il tuo privilegio, se tu fossi nera sapresti già da bambina cos’è il tuo trauma generazionale».
Un dogma che lei ha appreso frequentando il Master alla Columbia riguarda una minoranza sotto tiro di questi tempi, oggetto di minacce e aggressioni. Gli ebrei non sono tutti uguali. «La regola è che gli ebrei ashkenaziti, di origine est-europea, sono bianchi quindi oppressori, gli ebrei sefarditi di origine mediorientale hanno il diritto a stare nella categoria degli oppressi». Una sua compagna di studi ebrea-americana in classe ha raccontato di nascondere la propria origine per non correre rischi, ma prima di farlo si è profusa in scuse verso i compagni neri per aver osato descriversi come una vittima. Un episodio ha colpito l’italiana dopo la strage di Hamas del 7 ottobre. «Una docente ha organizzato un dibattito invitando un palestinese e un ebreo rigorosamente filo-palestinese. Nelle valutazioni che gli studenti fanno dei professori, quell’evento le è stato contestato perché nel dibattito mancava un portavoce di Hamas».


Ora che s’immerge in un campus così dottrinario, le torna in mente un episodio precursore, che avrebbe dovuto prepararla a quel che sta vivendo. «Durante la pandemia — ricorda L.T. — partecipavo a uno dei gruppi di mutuo soccorso a Brooklyn, in 1.500 volontari aiutavamo soprattutto i più poveri, gli immigrati clandestini rimasti senza nessuna assistenza. Nel quartiere di Bushwick a guidare i volontari era una donna bianca. Quando si è saputo, è stata crocifissa sui social: l’incolparono di neocolonialismo. Dovette dimettersi. Alcuni black del suo quartiere osarono difenderla: a loro volta sono stati accusati di avere introiettato il razzismo, e di avere il complesso del salvatore bianco». L.T. conosce dei neri che si ribellano a questa dittatura ideologica. «Una mia compagna afroamericana è stufa di vedersi rappresentare come un’eterna vittima bisognosa di risarcimenti. Lei dice: così mi viene tolta ogni auto-determinazione, in questa ideologia è escluso che io possa riscattarmi da sola, con le mie capacità e per merito mio».


francamente non so se ridere o piangere.
staremmo parlando qui delle migliori menti del paese, o perlomeno a livello teorico dovrebbe essere così.

la distinzione della razza ebrea poi...colpo da maestro, nel mentre vogliono il rispetto assoluto delle minoranze...ne creano di nuove  :forza:

io tutta questa roba qui la sento spesso e sta invadendo anche il nostro sistema educativo europeo (andatevi a vedere come stanno cambiando i programmi scolastici in Spagna).

i risultati lo ripeto secondo me nel medio-lungo periodo saranno disastrosi.
semplifico (anche perchè abbiamo già approfondito nei giorni scorsi) e ignorando la questione del merito (che di per sè è totalmente defunta in questo processo) : più regole di condotta linguistica (e comportamentale) implicano più limitazioni al pensiero libero e creativo. Più si etichettano le persone (soprattutto quelli oppressi) e più inconsciamente si rafforza l'idea latente della differenziazione sociale.
più si perseguono persone per il modo in cui espongono i loro pensieri e più i pensieri saranno semplici, riduttivi ed indirizzati.
 

Per arrivare a queste cose che sono follie…penso però a cosa hanno subito per secoli loro.
Altrimenti non c’è spiegazione razionale.

Ciò posto si stanno raggiungendo vette inarrivabili tra moralismo, buonismo ed affini.

posto che il razzismo non lo combatti così.
ossia censurando le parole ed obbligando chi sbaglia ad usarle a dimettersi o scusarsi, instaurando una sorta di clima giocobino nella quale c'è una sfida interna a chi sia più oppresso.

il perchè è molto semplice, è una opera di facciata laddove la finzione e il rimprovero non vanno ad investire in una discussione libera e proficua ma si è solo interessati a non offendere le minoranze, che spesso vengono trattate come minorati mentali.

il punto più critico è proprio quello che si riferisce alla divisione in gruppi, nei quali alcuni hanno più diritti rispetto agli altri in base ad un passato di maggiore sofferenza. E da dove si parte? no perchè perchè gli ebrei che oggi sono oppressori in passato un paio di cosucce le avrebbero da dire sul fatto di essere stati oppressi.

questa roba qua è ignoranza allo stato puro ed è pericolosa perchè appunto è completamente sfilacciata dalla storia e dalla cultura.
 

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Noodles
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Re: Politica Internazionale

Messaggio da Noodles » 04/03/2024, 18:06

GecGreek ha scritto: 04/03/2024, 18:03
Noodles ha scritto: 04/03/2024, 17:18

Rampini oggi scrive un articolo sul corriere molto in tema con ciò di cui discutevamo la scorsa settimana.
Tra l'altro Rampini per me è un ottimo giornalista, sulla questione woke sta provando a fare vera informazione, sulle guerre in corso viceversa lo vedo e sento sempre fin troppo filoamericano.

La riporto a pezzetti perchè francamente leggendo queste parole (di una ragazza italiana che lavora presso una istituzione culturale a New York) ho rivisto le numerose testimonianze di ragazzi che frequentano le università americane :

«Ho 42 anni, arrivai dal Veneto a New York nel 2009 e me ne innamorai subito. Dovevo rimanere per uno stage di pochi mesi, sono ancora qui. Oggi però stento a riconoscerla. In Italia mi considero una progressista, perfino radicale. A New York ora devo scusarmi in continuazione per essere bianca, quindi privilegiata e incapace di capire le minoranze etniche. Sono catalogata dalla parte degli oppressori. Passo il mio tempo a camminare sulle uova, a dribblare le regole della cultura woke, qualsiasi cosa dica o faccia può essere condannata come una micro-offesa rivolta contro afroamericani o latinos».

si è iscritta a un Master della Columbia University, dove si formano appunto gli assistenti sociali. Nonostante abiti qui da 15 anni, non era abbastanza preparata a quel che l’aspettava dentro la prestigiosa università newyorchese.
«Per le prove di ammissione — racconta — ho dovuto scrivere un saggio in cui anticipavo quale sarà il mio impegno nel razzismo anti-black, perché è un dogma che il vero razzismo è solo quello di noi bianchi contro i neri. Sono stata esclusa dal corso a cui ero più interessata, sull’assistenza ai tossicodipendenti, perché i non-bianchi hanno la precedenza. Nella settimana iniziale del Master dedicata all’orientamento dei nuovi iscritti, a noi studenti bianchi è stato chiesto di scusarci con i compagni di corso neri per il razzismo di cui siamo portatori. E devo aggiungere questo dettaglio: perfino una studentessa afroamericana mi si è avvicinata per confessarmi il suo imbarazzo, lei stessa trovava quella situazione mortificante. Ogni due settimane una bianca come me deve partecipare a una riunione di White Accountability(“responsabilità bianca”): due ore con una persona che ci interroga per farci riconoscere le nostre micro-aggressioni verso i neri e chiederci un pentimento».


Cosa s’intende per micro-aggressioni, le chiedo? «C’è un lunghissimo elenco di frasi proibite, perché considerate offensive. Per esempio, non bisogna mai chiedere a un compagno di studi da dove viene: può suonare come un’implicita discriminazione etnica. Guai a chiedere verso quale campo di studi si orienta: se è nero quella parola può evocare una piantagione di cotone dove lavoravano i suoi antenati schiavi, se è di origini messicane un terreno agricolo dove suo nonno era bracciante. Se cadi in una di queste offese, devi dichiararla e chiedere scusa, poi fare un’analisi del privilegio bianco che ti ha indotto in errore».
Pentimento
In parallelo, mentre lei partecipa a queste sessioni di auto-denuncia e pentimento, i suoi compagni di studi afroamericani si riuniscono nel Black Women o Black Men Safe Space («spazio sicuro»): «È il momento a loro riservato per denunciare le micro-aggressioni di noi bianchi, e mettere sotto accusa la Columbia se non affronta in modo adeguato il privilegio bianco, il razzismo sistemico». La quarantenne italiana non ha rinunciato al suo sogno di aiutare i più deboli. Prima o poi ci riuscirà, a fare l’assistente sociale. È delusa però dalla qualità della formazione che le fornisce una delle università più prestigiose del mondo. «Tutti i corsi della Columbia devono essere insegnati nell’ottica del Prop: Potere Razzismo Oppressione Privilegio. Io riconosco che un’assistente sociale deve essere informata su tutte le ingiustizie, deve conoscere tutti i fattori di disagio sociale. Ma catalogarci nelle categorie binarie di oppressore/oppresso non aiuta a conoscere la realtà. Un’assistente sociale dovrebbe occuparsi dell’essere umano, non incasellarlo in definizioni ideologiche».

Incidenti
Tra gli incidenti che ricorda, c’è il corso in cui le fu chiesto di commentare un’intervista-podcast con un’adolescente nera durante la pandemia, una 14enne di Minneapolis. L.T. osò dirsi «colpita che un’adolescente fosse già tanto consapevole del trauma generazionale». Frase in codice: secondo la Critical Race Theory, che è il Vangelo delle università americane, il trauma generazionale è quello ereditato da chi discende da schiavi neri. «Sono stata messa sotto accusa da tre studenti: ecco, si vede il tuo privilegio, se tu fossi nera sapresti già da bambina cos’è il tuo trauma generazionale».
Un dogma che lei ha appreso frequentando il Master alla Columbia riguarda una minoranza sotto tiro di questi tempi, oggetto di minacce e aggressioni. Gli ebrei non sono tutti uguali. «La regola è che gli ebrei ashkenaziti, di origine est-europea, sono bianchi quindi oppressori, gli ebrei sefarditi di origine mediorientale hanno il diritto a stare nella categoria degli oppressi». Una sua compagna di studi ebrea-americana in classe ha raccontato di nascondere la propria origine per non correre rischi, ma prima di farlo si è profusa in scuse verso i compagni neri per aver osato descriversi come una vittima. Un episodio ha colpito l’italiana dopo la strage di Hamas del 7 ottobre. «Una docente ha organizzato un dibattito invitando un palestinese e un ebreo rigorosamente filo-palestinese. Nelle valutazioni che gli studenti fanno dei professori, quell’evento le è stato contestato perché nel dibattito mancava un portavoce di Hamas».


Ora che s’immerge in un campus così dottrinario, le torna in mente un episodio precursore, che avrebbe dovuto prepararla a quel che sta vivendo. «Durante la pandemia — ricorda L.T. — partecipavo a uno dei gruppi di mutuo soccorso a Brooklyn, in 1.500 volontari aiutavamo soprattutto i più poveri, gli immigrati clandestini rimasti senza nessuna assistenza. Nel quartiere di Bushwick a guidare i volontari era una donna bianca. Quando si è saputo, è stata crocifissa sui social: l’incolparono di neocolonialismo. Dovette dimettersi. Alcuni black del suo quartiere osarono difenderla: a loro volta sono stati accusati di avere introiettato il razzismo, e di avere il complesso del salvatore bianco». L.T. conosce dei neri che si ribellano a questa dittatura ideologica. «Una mia compagna afroamericana è stufa di vedersi rappresentare come un’eterna vittima bisognosa di risarcimenti. Lei dice: così mi viene tolta ogni auto-determinazione, in questa ideologia è escluso che io possa riscattarmi da sola, con le mie capacità e per merito mio».


francamente non so se ridere o piangere.
staremmo parlando qui delle migliori menti del paese, o perlomeno a livello teorico dovrebbe essere così.

la distinzione della razza ebrea poi...colpo da maestro, nel mentre vogliono il rispetto assoluto delle minoranze...ne creano di nuove  :forza:

io tutta questa roba qui la sento spesso e sta invadendo anche il nostro sistema educativo europeo (andatevi a vedere come stanno cambiando i programmi scolastici in Spagna).

i risultati lo ripeto secondo me nel medio-lungo periodo saranno disastrosi.
semplifico (anche perchè abbiamo già approfondito nei giorni scorsi) e ignorando la questione del merito (che di per sè è totalmente defunta in questo processo) : più regole di condotta linguistica (e comportamentale) implicano più limitazioni al pensiero libero e creativo. Più si etichettano le persone (soprattutto quelli oppressi) e più inconsciamente si rafforza l'idea latente della differenziazione sociale.
più si perseguono persone per il modo in cui espongono i loro pensieri e più i pensieri saranno semplici, riduttivi ed indirizzati.
 
Mamma mia, dai nooda. Secondo te quest'obbrobrio è giornalismo?

E' Federico Rampini.  

fa parte anche della bolla dei podcast:

https://www.la7.it/inchieste-da-fermo/podcast

ti aspettavo :forza:

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