BruceSmith ha scritto: 05/06/2020, 11:35
Angyair ha scritto: 05/06/2020, 11:17
E allora scusa aiutami Bruce perchè non lo sto capendo.
Perchè non tutti protestano nella stessa maniera? Perchè alcuni non protestano?
Beh....non sono tutti uguali e non tutti la pensano allo stesso modo, mi sembra superfluo aggiungerlo.
(forse per qualcuno si ma ormai ho deciso di salvaguardare il mio fegato e di non rispondere a diversi utenti)
perchè probabilmente ci sono altri giocatori che non approvano il metodo della protesta.
per l'inno nazionale, per la bandiera per quel che rappresenta eccetera.. non è una cultura che mi appartiene, ma negli states ha molta importanza, quindi non mi metto a sindacare.
detto questo, sono rimasto sorpreso dall'impatto delle dichiarazioni di brees: io le ho interpretate in un certo modo (è contrario al "tipo" di protesta), @kero ne ha dato una lettura differente.
Come sai io ho seguito molto la faccenda, e all'inizio, appena una giornalista notò il comportamento di Kap e, dopo la partita, glielo chiese e lui disse perchè era rimasto seduto durante l'inno, e cioè come protesta per la brutalità del comportamento della polizia e per il razzismo della società americana, subito partì la retorica del "protestare contro l'inno americano", e diversi giocatori dei niners hanno raccontato che non vedevano di buon occhio la protesta di Kap proprio perchè avevano capito questo. Ci fù un incontro players only in cui Kap espresse la propria opinione dettagliatamente, si discusse e ci fù chi era completamente d'accordo con lui e decise di fare come lui, chi era d'accordo ma non fece lo stesso (alcuni per paura hanno detto e altri perchè non volevano che il messaggio venisse fuorviato, come tutt'ora accade), chi non era d'accordo ma capì il reale messaggio della protesta e che non era una protesta all'inno quindi. Quell'anno infatti Kap fu premiato dai suoi stessi compagni nella votazione sullo sportmanship della squadra (forse addirittura in modo unanime ma non ricordo bene).
Chi ha voluto ascoltare il perchè della protesta, lo ha capito e, anche se non d'accordo, ha compreso il reale messaggio.
Chi non ha voluto ascoltare, ancora adesso manca il bersaglio della protesta, in maniera volontaria o meno.
E' questo che colpisce di Brees, che dopo tutto quello che c'è stato, specie all'interno delle squadre NFL, delle discussioni che sono state fatte, ancora lui non parla delle motivazioni della proteste ma del "portare rispetto alla bandiera e all'inno" che non è mai stato il punto focale della protesta e che è stato sempre usato da chi voleva spostare l'argomento della discussione. Se hai ascoltato le parole di Jenkins è proprio questo che gli imputa.
Una precisazione poi: l'immagine che hai messo (e anche quella che ha messo Aaron Rodgers per es.), con i giocatori anche abbracciati, penso si riferisse alla domenica successiva a quando Trump disse che i giocatori che s'inginocchiavano durante l'inno andassero cacciati a calci in culo dall'NFL e quindi ci fù una risposta diversa da tutti i giocatori NFL, dopo che comunque si arrivò quasi al rischio che diversi giocatori di colore si rifiutassero di scendere in campo.
In questi giorni mi ha colpito molto un contributo di Francesco Costa, che gli USA li conosce e li racconta molto bene, che mi ha sorpreso e spiazzato molto (per semplicità e subdola cattiveria):
In tante città americane c'è un traffico micidiale. Pochi sanno che c'entra il razzismo.
Quando furono costruite autostrade e superstrade, le amministrazioni locali ne scelsero i percorsi. Dato che comandavano i bianchi, e la segregazione era la legge, spesso si decise di usare le strade come confini, per tenere i neri separati e lontani. Ancora oggi le città americane sono piene di strade che dividono i bianchi dai neri: la 8 Mile di Detroit, per dirne una famosa.
Solo che nacque un problema.
L'obiettivo era tenere i bianchi dentro le città e i neri in periferia, ma accadde l'opposto. I bianchi non volevano vivere nei piccoli appartamenti del centro ma spostarsi fuori, dove potevano avere giardini e spazi più grandi. I neri invece si stabilirono dentro le città, dove trovarono appartamenti più piccoli a prezzi più bassi. Pensateci: se noi europei siamo abituati a pensare al centro come alla parte più benestante di una città, e alla periferia come alla parte più problematica, negli Stati Uniti succede il contrario. Le zone del centro, le cosiddette inner cities, sono spesso le parti più difficili. Nelle periferie suburbane, i cosiddetti suburbs, ci sono le villette di Desperate Housewives.
Dato però che il lavoro era in città, i bianchi cominciarono a intasare le autostrade e fare avanti e indietro ogni giorno. Essendo state costruite anche per fare da confine, queste strade seguono a volte forme illogiche sul piano urbanistico. Prendete il Downtown Connector, ad Atlanta: quattordici corsie, eppure ingorghi per molte ore al giorno.
I mezzi pubblici potevano essere una soluzione, ma gli autobus sono frequentati da chi non ha una macchina, quindi soprattutto dai più poveri, quindi soprattutto dai neri. Se vuoi tenere i neri lontani da una certa zona, basta non farci passare gli autobus. L'azienda per il trasporto pubblico di Atlanta si chiama MARTA (Metropolitan Atlanta Rapid Transit Authority) ma in città ancora oggi alcuni bianchi la chiamano “Moving Africans Rapidly Through Atlanta”. I referendum cittadini per espandere la rete sono stati bocciati più volte, l'ultima nel 2019. Continua a esserci un gran traffico.