Wolviesix ha scritto: 19/09/2019, 17:03
DODO29186 ha scritto: 19/09/2019, 16:50Game of Thrones, per dirne una, attinge a piene mani dal capolavoro di David Simons, ma questo rimane un segreto ben nascosto per lo spettatore.
Questa me la devi spiegare.
Il focus sulla narrazione e l’approccio sociologico come focus primario, contrapposto a quello psicologico comunemente utilizzato, sono la vera ragione del grande successo di questi due show e - pur comuni ad entrambi - vengono chiaramente dalla farina del sacco di The Wire.
Al centro della narrazione delle due series vi è una società, con tutte le sue contraddizioni, complessità e sfaccettature. I personaggi ruotano senza un interprete principale che canalizza la storia, ma con molti focus narrativi i cui protagonisti sono le emozioni, i desideri le paure che caratterizzano l’ambientazione, incarnate nel potere rappresentato dalla droga e dal trono e portate avanti dai vari personaggi.
La scelta di The Wire è stata quella di non scendere a compromessi con il pubblico, privilegiando sempre la storia della società sui personaggi. Una storia che racconta di un sistema marcio, fatto per corrompere e tutelare la propria esistenza, composto da pezzi che mani invisibili muovono sulla scacchiera e destinati a cadere dal primo all’ultimo, Re compreso, in una guerra eterna fatta di vinti in cui il premio è fatto da nuove guerre da combattere.
GoT estremizza questo concetto distorcendolo: in un mondo medievale in cui dominano soprusi, forza, violenza, disperazione e paura, l’unica apparente via di fuga è partecipare al grande gioco. Lo sceneggiatore in questo gioca con il pubblico, portandolo in una direzione, per poi sterzare bruscamente dall’altra parte. Le morti repentine e inattese dei soggetti con cui il pubblico si era identificato per ore ed ore ne sono l’esempio più palese, sacrifici necessari ad uccidere il focus psicologico in favore di quello sociologico e farci domandare: che senso ha tutto questo?
Anche l’evoluzione dei personaggi segue lo stesso percorso: presentati al pubblico come archetipi determinati, finiscono per sfuggire ala catalogazione attraverso le loro scelte ed azioni, soprattutto in relazione con gli altri. Personaggi positivi finiscono per assumere connotati negativi e viceversa. In The Wire solitamente sono le conseguenze indirette delle azioni dei personaggi stessi a metterli davanti a delle difficile scelte, di cui pagheranno inevitabilmente le conseguenze; mentre in GoT è spesso il “pairing” forzato con un altro personaggio ostile e diverso a generare una reazione ed un’epifania, verso la riscoperta di un senso della vita che era stato smarrito. Ma è una rivelazione sempre effimera, perché le regole del gioco non lo ammettono.
In ultima analisi la similitudine è così palese che GoT la riporta chiaramente anche nel titolo e Cersei la ribadisce definitivamente: “in the Games of Throne you can win or you can die”. E anche The Wire la ripete in continuazione, spiegandocela attraverso D’Angelo e Omar con la metafora degli scacchi: “The king stay the king, if you catch the other king, then you win” ma attenzione perché “You come at the king, you better not miss. The game is out there and it’s either play or get played”.
“The Game”, il gioco è il grande protagonista delle due serie e tutto ruota attorno a lui. Chi vi partecipa muore, chi cerca di sottrarsi muore, chi vince sopravvive, almeno fino a quando non entra in campo un giocatore più abile di lui e dunque anch’egli inevitabilmente muore.
Purtroppo laddove The Wire ha portato sino in fondo questa scelta, GoT nelle ultime due stagioni ha rinnegato tutti i principi precedenti, che non ne diminuiscono l’esperienza dello spettatore, ma la mozzano inevitabilmente, verso un finale che cercando di accontentare tutti, non ha accontentato nessuno. Se non avevate capito perché le ultime stagioni non vi erano piaciute, ora lo sapete.