Contropelo ha scritto: 02/06/2018, 15:15
Non so se sei ironico, perché non si capisce dal post.
In che modo il non aver avuto controparti solide e forti né in panchina, né accanto, né ai piani alti dell’organizzazione, sarebbe colpa sua?
Vogliamo forse dargli la colpa pure della prima scelta Cavs, o di essersi scelto da solo o fatto nascere in Ohio?
Credo che Morau fosse serio piuttosto che ironico comunque condivido la linea e provo a risponderti io.
Punto 1. David Blatt fa una cavalcata impressionante fino in finale al suo anno da rookie e viene silurato sostanzialmente perché non piace a James.
Ha scelto Lue perché gli piaceva e sostanzialmente faceva quello che gli diceva lui, questa è una cosa lampante spero che non debba spiegare di più.
Punto 2. Il fatto che James fosse nativo dell'Ohio e guarda caso è stato scelto a Cleveland proprio nell'anno in cui era eleggibile sono quelle "coincidenze" astrali che ti farebbero mettere in dubbio l'esistenza di un creatore. Purtroppo invece sappiamo bene che è tutto deciso a tavolino quindi i piani per l'uomo creato in laboratorio erano quelli. The Choosen One doveva far risorgere quel posto lì come un'araba fenice.
Contropelo ha scritto: 02/06/2018, 15:15
A questo punto possiamo spogliare di qualunque responsabilità le franchigie NBA, perché se tutto dipende dalla star di turno, loro non possono fare bene ma soprattutto non possono mai fare male. Idem gli allenatori. Inutili. Perché se le scelte sbagliate in casa Cavs (sul mercato come sul campo) sono responsabilità di James, allora probabilmente i grandi mentori e GM del passato sono stati tali grazie alle superstar del passato... Sarebbe curioso sapere, tra i tanti, Riley, Jackson, Popovich che ne penserebbero.
Bravo qui hai capito cosa è successo in sostanza nell'era dopo James.
Il fatto che ogni star ha un impatto mediatico devastante fin dal primo anno (basta vedere Simmons o Embiid) cambia totalmente gli equilibri in gioco. Prima queste dinamiche non c'erano, esistevano al massimo con MJ e il suo marchio.
Adesso i giocatori tengono chiaramente per le palle la società, tant'è che sono loro, tra di loro, a fare recruiting mica i general manager di turno.
E qui d'obbligo citare l'operazione LBJ a Miami con i 2 amigos, l'inizio appunto di un giro di porcate che ha portato KD ai warriors.
E sull'ultima parte dei grandi GM e allenatori del passato hai centrato in pieno il punto.
Riley ha sempre vinto allenando SQUADRONI, Jackson non ne parliamo neanche e Popovich se non pescava Tim Duncan quella volta non so se adesso si parlerebbe del suo sistema (che con Leonard mi pare stia andando a farfalle...).
Contropelo ha scritto: 02/06/2018, 15:15
Mi sembra che a occhio ci sia qualcosa che non torna.
O i grandi del passato hanno avuto dietro mentori e dirigenze più competenti, decise e autorevoli, e di conseguenza ne hanno beneficiato, crescendo e maturando prima e meglio, oppure non saprei come spiegare quello che leggo molte volte... e quel che leggo spesso è un po’ un’offesa a qualsivoglia approfondimento uno abbia in mente di fare su questi temi.
Anche a me qualcosa non torna... tipo il kilometraggio assurdo di James e il fatto che non abbia mai avuto un acciacco serio in tutta la sua carriera. Il fatto che ha cambiato fisionomia e che quando aveva 25 anni aveva la fronte larga la metà.
Questo qua di umano ha ben poco...
Il passato e i grandi del passato lasciagli stare. Al massimo il filo conduttore può essere Bird/Magic e poi MJ fino ad arrivare a LBJ. Intendo dire che è dagli anni '80 che l'NBA ha iniziato a fare cinema anziché interessarsi alla pallacanestro (showtime che vorrà mai dire) e lo star system è nato con il 32 e il 33 (numeri a caso ovviamente) passando per il 23 di chicago e arrivando al 23 attuale (anche qua a caso).
Insomma in sostanza i grandi allenatori e manager sono storie romanzate che nascono a posteriori, ma è il discorso più vecchio del mondo che in campo ci vanno i giocatori. E LBJ secondo me con quel titolo vinto contro i warriors è la palese dimostrazione di questo concetto.
Contropelo ha scritto: 02/06/2018, 15:15
Per me è abbastanza chiaro il percorso che James ha avuto nella sua carriera. Fenomeno sportivo e mediatico draftato in una organizzazione senza mezzi termini INDECENTE, è stato investito di un potere di fatto senza confini, laddove i personaggi e le strutture che avrebbero dovuto avere quel potere non l’hanno saputo o potuto esercitare, per propria incapacità e debolezza generale. A 18 anni, James era già “bigger than the Cavs”.
Per molti altri grandi del passato, così non è stato. Per quanto grandi, si sono mediamente inseriti in contesti più solidi, decisamente più grandi di loro, che li hanno potuti arginare e parzialmente indirizzare in senso migliorativo.
Si, forse però non ti è abbastanza chiaro che ad oggi non si è mai visto uno all'ultimo anno di liceo che poteva già giocare 2 o 3 in qualsiasi quintetto NBA. Questa è la cosa più anormale di tutte.
E il "potere" di cui parli tu, quello che le associazioni o strutture non hanno saputo esercitare è quello che sta scomparendo sempre di più ogni giorno perché questi qua si sono gasati, sono diventati grandi come delle divinità greche (semicit.) e con la loro cricca di amici fanno il bello e cattivo tempo.
Il suo amico Jay-Z uguale. Ha messo su la sua etichetta, il tempo in cui questi qui si piegavano ai voleri dell'uomo bianco sono finiti da un pezzo
Ma anche qui su questo forum è pieno zeppo di gente che tifa i giocatori mica le squadre. L'unica cosa che è più grande di loro è appunto il mercato mediatico (che è in "buone" mani).
Contropelo ha scritto: 02/06/2018, 15:15
PS: Nei quattro anni a Miami probabilmente c’è stato un tentativo di James di impostare i rapporti in un senso simile a quello dei Cavs, perché del resto così era stato abituato e così aveva sempre potuto fare, ma guarda caso con una franchigia che già aveva vinto un titolo, con compagni forti e soprattutto una dirigenza compatta e autorevole come quella di Riley... la carta bianca non c’è stata, come ha detto giustamente Pepper90.
Purtroppo nel vedere questa ed altre situazioni, sportive e non, siamo terribilmente schiavi delle narrative mediatiche, che poco e nulla hanno di reale o di approfondito/argomentato.
Si la narrativa di farlo andare a vincere a Miami e di farlo tornare a vincere a casa con la musichetta #i'mcominghome è stata una storyline entusiasmante.
Adesso preparati perché deve rincorrere il fantasma che ha giocato a Chicago