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da Gian Marco » 30/04/2016, 17:08
Ho più volte detto che credo che il sistema politico americano sia nel mezzo di un drastico (ma non troppo sorprendente) “realignment”, dove le due coalizioni che hanno permesso lo status quo negli ultimi cinquanta (e passa) anni di esistere sono finalmente in crisi.
Uno degli effetti secondo me più interessanti di questo rimescolamento ideologico e politico è la ridefinizione degli approcci che i due partiti hanno nei confronti della politica estera. Perché negli ultimi decenni (diciamo da inizio anni ’70 in poi) il partito Repubblicano è stato sicuramente quello con una visione più aggressiva, militarista ed interventista, mentre i Democratici si sono quasi sempre schierati su posizione molto più da “colombe.” Questo schema è ormai in atto da così tanto tempo che lo diamo praticamente per scontato. Ma se andiamo a rivedere il corso della storia americana e globale del ‘900 ci accorgiamo che in realtà il partito Democratico è stato quello decisamente più votato al ricorso alla guerra. Dopo tutto, le maggiori guerre a cui gli Stati Uniti hanno partecipato nel secolo scorso sono state tutte iniziate e combattute (quasi interamente)sotto la guida di presidenti Democratici. Prima guerra mondiale, seconda guerra mondiale, Corea e Vietnam (finita da Nixon ma responsabilità primaria di Johnson). Anzi, spesso e volentieri i candidati presidente Repubblicani facevano leva su sentimenti isolazionisti (mi viene da pensare a Wilkie nel 1940 che sfidò FDR proprio sulla questione di un possibile coinvolgimento americano nella seconda guerra mondiale) e per molto tempo la visione dell’ala del partito più restia all’interventismo (guidata dal senatore Taft, a cui la retorica trumpiana di protezionismo e isolazionismo si ispira molto) è stata quella che ha fatto da padrone.
Tutto questo è ovviamente cambiato con i drammatici sviluppi del disastro vietnamita e la nascita di un forte blocco pacifista all’interno del partito Democratico che ha avuto il suo apice con la candidatura di McGovern nel 1972. Da quel momento i Democratici sono diventati sempre più avversi all’intervento militare (se non per casi umanitari) mentre il GOP è andato via via sempre più verso direzioni interventiste, tanto che l’ala più “libertarian” è stata quasi interamente fagocitata dalla dottrina jacksoniana e neo-conservatrice (non a caso i neo-con cominciarono la propria migrazione dal partito Democratico a quello Repubblicano proprio nel corso degli anni ’70) che nel 2000 portò alla Casa Bianca George W. Bush.
La cosa interessante è che oggi nel 2016 ci ritroviamo con un front-runner Repubblicano che caldeggia apertamente posizioni isolazioniste e che cavalca l’onda anti-internazionalista (per intenderci, la stessa che portò il Senato alla mancata ratifica del Trattato di Versailles del 1919 e che continua a vedere con sospetto organizzazioni sovra-nazionali quali l’ONU e la NATO) e con una front-runner Democratica che da senatrice ha votato a favore di una guerra disastrosa (Iraq), che da segretario di stato ha architettato manovre militari molto discutibili (Libia) e che nel 2013 spingeva verso l’intervento in Siria.
Non che la cosa sia buona o cattiva per sé, ma è sicuramente paradossale. Ancor di più se si pensa che il secondo candidato Repubblicano per numero di voti è un senatore che non ha mai fatto mistero di ripudiare l’ala neo-con del suo partito e che vuole ridurre i costi e i numeri dell’apparato militare.
E’ davvero un anno molto strano.
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