Fortza paris, diciosa, longa mala s'andala est
Inviato: 01/06/2016, 8:24
Di nuovo lì, dove dovremmo stare.


«Partimmo la mattina da Milano con un turboelica che fece scalo a Genova e poi ad Alghero. Arrivammo a Cagliari di sera e quando vidi le luci nel golfo mi lasciai scappare: “Quella è l’Africa”. Lupi si arrabbiò e mi diede un calcio nel sedere. Il giorno dopo andai al campo, l’Amsicora, che non aveva un filo d’erba e pensai “Dove sono capitato”. Però i ragazzi mi fecero festa e l’argentino Longo, una bella persona, mi prese subito sotto la sua protezione. I primi mesi a Cagliari sono stati tristi, alle nove di sera non girava più nessuno. Stavo con gli altri scapoli, Cera, Nenè, Tomasini. Non avevo la patente e mi aggrappavo dietro al tram per andare da via Roma a casa, senza pagare. Avevo alcuni amici fuori dal calcio: soprattutto pescatori, a cominciare da Martino. Mi voleva bene come un figlio, fu uno dei primi a invitarmi a casa sua, dove mi insegnò a mangiare il pesce con le mani, lasciando soltanto le lische. Ho capito di amare la Sardegna andando nelle case dei pastori e negli ovili. Una volta mi portarono in un paesino, a Seui, in provincia di Nuoro mi pare, e sulla credenza di un’anziana, notai anche una mia foto, tra i santini dei suoi genitori. L’amico che mi accompagnava chiese perché c’era la mia foto e la donna, senza riconoscermi, rispose: “Quello è buono”. Quando vedevo la gente che partiva alla 8 da Sassari e alle 11 lo stadio era già pieno, capivo che per i sardi il calcio era tutto. Ci chiamavano pecorai e banditi in tutta Italia e io mi arrabbiavo. I banditi facevano i banditi per fame, perché allora c’era tanta fame, come oggi purtroppo. Dei sardi mi colpì la generosità. Mi hanno sempre fatto sentire uno di loro, attorno a tavolate con salsicce e maialino. E poi abbiamo lo stesso carattere, non ci mettiamo in mostra, siamo silenziosi. La Sardegna mi ha dato affetto e continua a darmene. La gente mi è vicino come se ancora andassi in campo a fare gol. E questa per me è una cosa che non ha prezzo».
Gigi Riva.




No potho reposare amore 'e coro,
Pensende a tie sò onzi momentu.
No istes in tristura prenda 'e oro,
Ne in dispraghere o pessamentu.
T'asseguro chi a tie solu bramo,
Ca t'amo forte t'amo, t'amo e t'amo.
Si m'esseret possibile d'anghelu
S'ispiritu invisibile piccabo
T'asseguro chi a tie solu bramo,
Ca t'amo forte t'amo, t'amo e t'amo.
Sas formas ka furabo dae chelu
Su sole e sos isteddos e formabo
Unu mundu bellissimu pro tene,
Pro poder dispensare cada bene.
Unu mundu bellissimu pro tene,
Pro poder dispensare cada bene.
No potho reposare amore 'e coro,
Pensende a tie sò onzi momentu.
T'asseguro chi a tie solu bramo,
Ca t'amo forte t'amo, t'amo e t'amo.
T'asseguro chi a tie solu bramo,
Ca t'amo forte t'amo, t'amo e t'amo.


«Partimmo la mattina da Milano con un turboelica che fece scalo a Genova e poi ad Alghero. Arrivammo a Cagliari di sera e quando vidi le luci nel golfo mi lasciai scappare: “Quella è l’Africa”. Lupi si arrabbiò e mi diede un calcio nel sedere. Il giorno dopo andai al campo, l’Amsicora, che non aveva un filo d’erba e pensai “Dove sono capitato”. Però i ragazzi mi fecero festa e l’argentino Longo, una bella persona, mi prese subito sotto la sua protezione. I primi mesi a Cagliari sono stati tristi, alle nove di sera non girava più nessuno. Stavo con gli altri scapoli, Cera, Nenè, Tomasini. Non avevo la patente e mi aggrappavo dietro al tram per andare da via Roma a casa, senza pagare. Avevo alcuni amici fuori dal calcio: soprattutto pescatori, a cominciare da Martino. Mi voleva bene come un figlio, fu uno dei primi a invitarmi a casa sua, dove mi insegnò a mangiare il pesce con le mani, lasciando soltanto le lische. Ho capito di amare la Sardegna andando nelle case dei pastori e negli ovili. Una volta mi portarono in un paesino, a Seui, in provincia di Nuoro mi pare, e sulla credenza di un’anziana, notai anche una mia foto, tra i santini dei suoi genitori. L’amico che mi accompagnava chiese perché c’era la mia foto e la donna, senza riconoscermi, rispose: “Quello è buono”. Quando vedevo la gente che partiva alla 8 da Sassari e alle 11 lo stadio era già pieno, capivo che per i sardi il calcio era tutto. Ci chiamavano pecorai e banditi in tutta Italia e io mi arrabbiavo. I banditi facevano i banditi per fame, perché allora c’era tanta fame, come oggi purtroppo. Dei sardi mi colpì la generosità. Mi hanno sempre fatto sentire uno di loro, attorno a tavolate con salsicce e maialino. E poi abbiamo lo stesso carattere, non ci mettiamo in mostra, siamo silenziosi. La Sardegna mi ha dato affetto e continua a darmene. La gente mi è vicino come se ancora andassi in campo a fare gol. E questa per me è una cosa che non ha prezzo».
Gigi Riva.




No potho reposare amore 'e coro,
Pensende a tie sò onzi momentu.
No istes in tristura prenda 'e oro,
Ne in dispraghere o pessamentu.
T'asseguro chi a tie solu bramo,
Ca t'amo forte t'amo, t'amo e t'amo.
Si m'esseret possibile d'anghelu
S'ispiritu invisibile piccabo
T'asseguro chi a tie solu bramo,
Ca t'amo forte t'amo, t'amo e t'amo.
Sas formas ka furabo dae chelu
Su sole e sos isteddos e formabo
Unu mundu bellissimu pro tene,
Pro poder dispensare cada bene.
Unu mundu bellissimu pro tene,
Pro poder dispensare cada bene.
No potho reposare amore 'e coro,
Pensende a tie sò onzi momentu.
T'asseguro chi a tie solu bramo,
Ca t'amo forte t'amo, t'amo e t'amo.
T'asseguro chi a tie solu bramo,
Ca t'amo forte t'amo, t'amo e t'amo.