ride_the_lightning ha scritto:Appena visto Joy.
O.Russell boh, continua a non convincermi. Tanto per rimanere in tema di moci e stampini a me pare che faccia film in produzione seriale, oramai.
Qui c'è la bravura della Lawrence, mentre il resto è sorvolabilissimo.
Ma David O. Russell è semplicemente un regista artisticamente nella media che ha avuto la bravura, o la fortuna, questo non so dirlo, di trovarsi fra le mani delle ottime sceneggiature. Storie con protagonisti e personaggi, anche di contorno, intrigantissimi che il più delle volte si sarebbero raccontate bene anche da sole o quasi. Poi possiamo dire che non sporca il foglio, ma penso di essere mai rimasto senza parole di fronte ad un piano di Russell.
Su Green Room concordo, è una bomba.
Sempre dell'annata in corso mi permetto di consigliare Indivisibili di De Angelis, che son convinto qua dentro apprezzerete, Hell or High Water e Juste la fin du monde. Su quest'ultimo mi ci soffermo un attimo di più perchè ormai Dolan, per me, rappresenta l'apice o quasi del cinema contemporaneo. Metto tutto in spoiler onde evitare disguidi, ma potreste benissimo leggere anche quelli, tanto è un film dove la trama conta fra il poco e il nulla.
Quello che mette in scena Xavier Dolan è un melodramma che prova a riscrivere le regole del gioco. Un'opera prima di tutto spiazzante che parte da una trama semplice, che ci perseguita fin dai tempi del Vangelo, con la parabola del figliol prodigo. Il figlio che torna a casa per dare una notizia che però non sarà in grado di dare. E qui sta molto del senso del film, un film che non va a finire, volutamente, da nessuna parte. Si resta li, come la maggior parte dei rapporti che instauriamo e viviamo. Perchè ? Perchè siamo costernati dalla paura di quello che sarà e il più delle volte preferiamo sedimentarci invece che cambiare pagina, aspettiamo che sia il tempo a farlo. E poi il tema dei rapporti famigliari, basati sulla mera questione sanguigna, la sua famiglia è composta da sconosciuti o mezzi sconosciuti, perchè andare andare a raccontare della propria malattia a persone che non si vedono da dieci, dodici anni e con cui non si condivide ormai più nulla? Perchè sono la mia famiglia e il mondo funziona così. Ma siamo sicuri che dovrebbe funzionare veramente così? Una stroncatura fortissima a quella che è l'idea del nucleo famigliare che, sia chiaro, non va generalizzata. Non tutti i rapporti famigliari sono di questa natura, ma quando lo diventano è veramente necessario continuare a fingere? Un film sulla paura, sulla paura di Louis che non sa cosa aspettarsi da questi sconosciuti, la paura della madre, del fratello e della sorella di non essere all'altezza. E poi il personaggio meraviglioso di Catherine, la moglie del fratello, che rappresenta lo spettatore, un personaggio che fa da collante ma del quale lui non ci vuole dire nulla (come in Mommy). Lui ce lo mette li a mostrare le reazioni a quello che la circonda. Ci sono inquadrature in cui lei è in secondo piano, ma le sue smorfie sono le vere protagoniste della scena. Andando anche un poco oltre è favoloso come viene messa in scena questa incapacità di lasciarsi il passato alle spalle. I protagonisti, nonostante il momento parrebbe di quelli più puri ed emotivi, il ritorno di un parente dopo anni e anni di "esilio", non sono minimamente in grado di apprezzarlo appieno perchè sono trascinati dal regresso, dalle aspettative. A chiosa del tutto Dolan ci solletica ulteriormente calcando la mano sul tema del contrasto generazionale. Da un lato abbiamo la madre, donna navigata, che incarna saggezza ed esperienza, è abituata a determinate situazioni e sa come approcciarle. Vorrebbe domandare di più, vorrebbe forzare di più la mano, ma sa benissimo di non poterselo permettere. Poi abbiamo il fratello maggiore, il tipico uomo che si trova nel bel mezzo di una crisi di mezza età dove ha attenzioni solo per se stesso. E' dominato da un egocentrismo e da una sindrome da accerchiamento tale da fargli sembrare che qualunque frase sia riferita a lui e, ancor peggio, che sia una critica al suo modo di essere. Di conseguenza vive in questo perenne stato difensivo, alla ricerca della creazione di uno scudo che possa proteggerlo, rassicurarlo ma, al contempo, nascondergli la verità e impedirgli di vivere per davvero. Infine la sorella minore, schiava delle emozioni più primordiali, capace di passare da uno stato di euforia ad uno di rabbia nel giro di un secondo. Emozioni, solo emozioni. Un uso dei colori forti e saturati che accrescono lo stato di ansia e angoscia già forti visto l'uso di primissimi piani. Poi una colonna sonora usata, dal canadese, in modo maturo forse per la prima volta in carriera. La musica, tolte un paio di scene (Dragostea din tei
), si limita ad accompagnare ciò che viene messo in mostra. E poi questa necessità di sovrapporre, di aggiungere caos sensoriale ad un caos emotivo già forte. Urla e schiamazzi sopra urla e schiamazzi, lacrime, sudore, indifferenza. Tutto si mischia in questo quadro unico e irripetibile che culmina nei folli, esagerati, ultimi 5 minuti.