Green Room
Una band punk a corto di serate accetta o di serate accetta da un roadie scalcagnato di suonare ad un ritrovo di white supremacists, skinhead d'estrema destra da provincia americana. Giunti in loco la serata si svolge in uno scenario di grande tensione e la band la porta avanti con la sfacciataggine che gli compete ma la tragedia inizia a spettacolo finito, quando prima di andarsene sono involontari testimoni di un omicidio a sangue freddo da parte degli organizzatori.
Jeremy Saulnier, segnatevi il nome di questo regista, frequentatore abituale di festival internazionali e ormai ospite fisso anche a Cannes. Attendevo con ansia la sua terza prova da regista dopo l'eccellente e instant cult "Blue Ruin" che vi consiglio assolutamente di recuperare.
La storia in sé non presenta dinamiche che non si siano già viste altre mille volte, a partire da "Distretto 13 - Le brigate della morte" et simili, ma la cosa più affascinante di Saulnier, oltre alla certosina cura della messa in scena, è il suo esplorare il concetto di violenza da un punto di vista originale e parzialmente innovativo. Tutti i suoi personaggi hanno nei suoi film a che fare con la violenza, ma è come se non fossero mai pronti ad affrontarla, trovandosi così impreparati a maneggiare fucili, pistole e lame varie. Le scene crude ed esplicite fanno da contraltare a uomini comuni imbranati e poco avvezzi a trasformarsi dal nulla in spietati assassini, anche spietati naziskin si rivelano per quello che sono realmente, ragazzi comuni con la merda in testa ma che alla prova dei fatti non sanno come comportarsi quando la temperatura si alza davvero.
La storia in se non presenta dinamiche che non si siano già viste altre mille volte, a partire da "Distretto 13 - Le brigate della morte" et simili,
Rispetto all'opera precedente abbondano i dialoghi (con diverse citazioni musicali che ovviamente non son stato minimamente in grado di cogliere vista la mia ignoranza nel campo del genere punk), brillanti e ben scritti senza mai cadere nella verbosità irrealistica alla Sorkin o alla Tarantino. Cast in palla composto da facce poco note, a parte il mefistofelico Patrick Stewart, il sodale Macon Blair che si ritaglia una piccola parte perfetta per lui e la splendida Imogen Poots che entra come personaggio secondario ma man mano che si va avanti ruba letteralmente la scena a tutti quanti.
Siamo un gradino sotto "Blue Ruin", ma merita assolutamente.
****