In Veneto qualsiasi cosa oggi è pre-tattica in vista delle regionali previste entro e non oltre novembre 2025. La maggioranza è in vantaggio, ma spaccata, mentre l’opposizione non sa che pesci pigliare, divisa tra un’enorme possibilità in caso di spaccatura della maggioranza e il fallimento assicurato in caso di compattezza. Di fatto, ancora non c’è nessun candidato esplicitamente in corsa per la carica di Presidente, tranne Zaia stesso, che però non può ricandidarsi.
Zaia che cerca disperatamente un modo per non mollare la presa e guadagnare tempo per decidere cosa fare. L’ultima trovata è lo slittamento delle elezioni alla primavera 2026 con la scusa che “prima del Covid si è sempre votato in primavera e unendo regionali e comunali si risparmia”. Peccato che il termine legale della legislatura si esaurisca a novembre 2025 ed entro quella data servono elezioni. Cosa voglia fare una volta lasciata la Regione, ancora non si sa, ma ai suoi il ritorno sulla scena nazionale sembra la strada più logica.
Salvini vuole riprendere il controllo del Veneto e piazzare un suo uomo, ma i leghisti locali sono insofferenti a questo diktat: vogliono autonomia di scelta e proseguire nel solco di Zaia. Cosa che al leader leghista non piace, anche perché uno Zaia senza poltrona e con uomini propri alla guida del Veneto, è per lui una minaccia a livello nazionale. Forzare troppo la mano per Salvini è un rischio, perché la possibile spaccatura nel partito è realtà, come già accaduto a Verona. Ma mollare la presa è come ammettere che il Veneto gli sia sfuggito di mano e questo pesa molto anche a livello nazionale.
Nel mezzo della faida leghista, Meloni ha intravisto l’opportunità per prendersi il Veneto e piazzare un candidato di FDI. Ma ha due problemi: a livello amministrativo locale, il suo partito è molto più debole della Lega; inoltre, non ha un profilo forte, condiviso e a lei fedele da candidare. E anche in questo caso c’è sempre la possibilità di una spaccatura e la Lega ha già ipotizzato di presentarsi da sola, qualora il candidato Presidente non provenisse dal proprio partito. Meloni non può correre il rischio di un centrodestra spaccato in Veneto, sia mai che la cosa non possa fungere da laboratorio, ma farebbe molto volentieri uno sgarbo a Salvini.
Ma non è finita qui: il candidato più attivo e rappresentativo di Forza Italia è Tosi, ex leghista con dente avvelenato verso Zaia (e viceversa). La sua secessione dalla maggioranza è costata al centrodestra la roccaforte Verona e diversi leghisti fedeli a Zaia non lo vogliono nella futura maggioranza. E naturalmente, Tosi soffia sul fuoco della spaccatura, denunciando l’ostracismo degli “zaiani” nei suoi confronti ed avvicinandosi alle posizioni di FDI da un lato e di Salvini dall’altro.
Mi sono preso la briga di scrivere questa pappardella perché ad inizio aprile ci sarà il congresso nazionale della Lega e oggi c’è l’ultima tappa della tournée di avvicinamento, proprio in Veneto. L’unico candidato segretario al congresso nazionale è Salvini, ma ci sono enormi malumori sepolti, a livello nazionale soprattutto per l’ipotesi di Vannacci vice-segretario e a livello Veneto per tutte le ragioni espresse sopra. È una situazione da monitorare con attenzione, perché potrebbe portare a serie conseguenze nel prossimo futuro.