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da Bluto Blutarsky » 02/12/2014, 11:09
Ultime visioni, del tutto casualmente tutte tricolore:
Ogni maledetto Natale: abbandonata la satira, gli autori di Boris si abbandonano alla comicità pura, mettendo nel mirino le ipocrisie natalizie. La storia non c'è; il motore comico si riduce alla galleria dei personaggi che popolano il film. Naturale quindi che il film funzioni quando funzionano i personaggi (sostanzialmente la prima metà), mentre arranca quando si passa a maschere più deboli (la famiglia di ricchi industriali, fase in cui il film non ha il coraggio di pigiare fino in fondo il pedale dell'assurdo e dell'esagerazione).
A spiccare nel folto cast, Giallini - che non sbaglia un'espressione - e Guzzanti, sul cui genio comico non si discute, anche se non basta riprendere le sue esilaranti acrobazie linguistiche per fare un film. Ma sopra tutti si staglia Mastandrea, che nel ruolo del buzzurro Tiziano Colardo raggiunge vette di surrealtà pura.
Voto: 6,5 (sarebbe 6, ma l'intercalare di Guzzanti "Mondo cazzo!" vale da solo mezzo punto in più)
Quando c'era Berlinguer: premesso che Walterone nostro non è un regista. Ma se fai un film per il cinema, come regista devi essere valutato. E il documentario che mette in piedi per celebrare la figura di Enrico Berlinguer è un prodotto interessante come uno speciale di RaiStoria o una puntata di Minoli, ma non ha nessun guizzo che gli possa dare dignità di film.
C'è applicazione e approfondimento, ma non ci sono idee narrative. Ci sono tanti materiali interessanti, ma non c'è un filo ad unirli (se non una vaga cronaca dell'avventura politica di Berlinguer). C'è interesse, non emozione. In sintesi, sarebbe un ottimo documentario per la tv, non per le sale.
A margine, c'è anche un problema di background culturale. Voglio dire: se a parlare dell'importanza della frattura di Berlinguer con l'Urss è Jovanotti, un problema di credibilità si pone. Ma Veltroni è sempre stato convinto che il processo di maturazione di un Paese passi anche dai prodotti della cultura popolare, compresi musica leggera, intrattenimento televisivo e sport. Probabilmente li sopravvaluta.
Voto: 5,5
Zabriskie Point: colmata anche questa lacuna. Visto a più di quarant'anni dalla sua uscita, e quindi ripulito da tutte le polemiche politiche, questo film appare chiaramente diviso in tre parti: la prima, che si tuffa nella contestazione giovanile degli anni Sessanta, è quella più legata ai suoi anni e quindi vista oggi sembra la più datata; il finale è un po' troppo carico di simbolismi, anche se la potenza iconica delle immagini è fuori discussione (l'esplosione dei simboli del capitalismo sotto le note dei Pink Floyd). Ma durante la fase centrale, quando i due protagonisti escono dal loro tempo e dal loro spazio per immergersi in questo sogno astratto di libertà e di fuga tra le dune dello Zabriskie Point, diventa il film di un Maestro.
Voto: 7, che poi sarebbe la media tra le parti.
Il posto: non credo che Ermanno Olmi sarebbe stato lo stesso regista se non avesse vissuto un'infanzia contadina. Oggi non avrebbe lo stesso stile. Magari sarebbe stato comunque un autore, ma un autore diverso. Non è soltanto il discorso "aver vissuto la povertà", sarebbe riduttivo: crescere tra i contadini significa piuttosto imparare a valorizzare al massimo ogni risorsa che si ha a disposizione, anche la più piccola. Un contadino non pensa mai a quello che non ha, ma a come usare al meglio quel poco che ha.
Mi piace pensare che questo discorso si veda al massimo grado in questo piccolissimo film, tra i suoi primi. I mezzi sono quelli che sono, la messa in scena è minimalista, la trama è talmente esile da sfiorare l'inconsistenza (un giovanotto di provincia partecipa ad una selezione di lavoro per una grande azienda milanese e viene assunto). Ma quanta attenzione ai dettagli, quanta delicatezza nello sguardo, quanti significati espressi nei gesti quotidiani più semplici. E quanto affetto per i suoi protagonisti, da parte di uno che ha gli occhi di chi la realtà la sa osservare, e che già intravede una nuova generazione di persone destinate ad un lavoro impiegatizio che non darà loro nè gioia nè stress nè realizzazione, ma solo mortificazione.
Voto: 8
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