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da joesox » 01/03/2025, 7:34
Jeff Bezos ha ordinato al suo giornale, il Washington Post, di non pubblicare più commenti che non saranno in difesa di due argomenti chiave: le libertà personali e il libero mercato. Di fatto è un diktat per ridurre gli interventi critici nei confronti del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, del suo stretto collaboratore Elon Musk e di altri rappresentanti del governo. La decisione ha provocato un nuovo terremoto all’interno di una delle testate giornalistiche più famose al mondo.
Dentro la redazione del giornale c’è agitazione. I lettori sono imbufaliti. Molti, a commento del post hanno pubblicato lo screenshot con l’annuncio della cancellazione dell’abbonamento. Quello di Bezos è solo l’ultimo inchino a Trump. Il primo lo aveva fatto alla vigilia delle presidenziali di novembre quando aveva bloccato l’endorsement del Post a uno dei due candidati, in quel caso la Democratica Kamala Harris. I giornalisti avevano protestato. Più del dieci per cento degli abbonati, nelle prime ore seguenti alla decisione, avevano disdetto la sottoscrizione. Subito dopo le elezioni Bezos andò a Mar-a-Lago a trovarlo, per celebrarne la vittoria. Il miliardario aveva poi donato un milione di dollari per finanziare gli eventi legati all’Inauguration Day. Una vignetta che raffigurava lui e altri guru della Silicon Valley in processione da Trump era stata bloccata. L’autrice, la disegnatrice premio Pulitzer Ann Telnaes aveva lasciato l'incarico. Un cambiamento epocale rispetto a otto anni fa quando, durante il primo mandato di Trump, il Post era diventato una voce antagonista, al punto da adottare lo slogan, sotto la testata, “Democracy dies in darkness”.
Libertà...
Bezos ha comprato il Post nel 2013 dalla famiglia Graham. I conti erano in rosso e lo pagò solo 250 milioni di dollari.
Nel 2017 il Sole 24 Ore scriveva:
Bezos prese il toro per le corna. Il secondo uomo più ricco del pianeta iniziò a investire pesantemente sul “Post”: 50 milioni di dollari spesi oculatamente per mettere la vecchia testata al passo coi tempi. Vennero tra l’altro assunti almeno un’ottantina di figure tecniche: programmatori, web analyst, big data analyst, web designer e video editor. Tutti piazzati nell’enorme newsroom per lavorare fianco a fianco con i giornalisti, in modo da costruire storie sempre più multimediali, in grado di catturare nuovi pubblici (con linguaggi e contenuti innovativi) e moltiplicare i contatti sulle piattaforme distributive più eterogenee. E con i contatti, gli abbonamenti. E con gli abbonamenti, la pubblicità.
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Il bello è che Bezos e Fred Ryan (ceo del Washington Post), per quanto tech, credono profondamente nel giornalismo d’inchiesta, quello di qualità. Quello scomodo, per intenderci, in grado di scavare nell’e-mailgate dei Clinton o nei finanziamenti illeciti a Trump senza paura.
Il giornalismo investigativo possiamo scordarcelo.
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