Re: Moderatamente sensati - Il topic della politica
Inviato: 06/07/2016, 11:44
A proposito di suffragio universale, su Limes c'è questa interessante rivelazione riguardo la nascita degli Stati Uniti:
“Nell’estate del 1787 la segretezza che circondava i lavori della convenzione di Philadelphia era divenuta insostenibile anche per gli abitanti del Nuovo Mondo, che pure non erano usi ricevere spiegazioni dai loro governanti. Al termine dell’assemblea la signora Powel, che fuori dal cancello della Independence Hall attendeva notizie, si rivolse a Benjamin Franklin per sapere quale forma costituzionale avrebbero assunto gli Stati Uniti d’America. «Dottore, che cosa avremo allora? Una repubblica o una monarchia?», chiese con trepidazione.
Voltatosi di scatto, Franklin la fulminò con una risposta smaccatamente paternalistica: «Avremo una repubblica, signora, se sarete in grado di mantenerla».
La dichiarazione tradiva l’approccio dei padri fondatori (framers).
Nelle intenzioni originarie, l’America non doveva essere una democrazia – la parola non appare mai negli articoli della costituzione – ma una repubblica. Non solo per il fascino irresistibile dell’Antica Roma.
Il termine greco demokratía richiamava «la diretta e pericolosa» incarnazione del governo da parte del popolo. Gli Stati Uniti invece sarebbero stati guidati da un gruppo di elitisti illuminati che, prestati solo temporaneamente alla politica, avrebbero amministrato la cosa pubblica senza lasciarsi traviare dalle passioni. E avrebbero perduto la libertà solo se la popolazione avesse imposto la propria volontà alla classe dirigente, alterando l’architettura istituzionale.
La politica doveva essere appannaggio di pochissimi letterati, selezionati per censo quale elettorato attivo e passivo. Il feticcio della rappresentatività era il diaframma da inserire tra il lucido perseguimento dell’interesse pubblico e la cieca umoralità delle masse. Il presidente sarebbe stato scelto indirettamente, da un collegio elettorale che si riuniva in semiclandestinità.
La stessa idea di indire elezioni esclusivamente di martedì, il giorno che precedeva il mercato, doveva scoraggiare la cittadinanza dall’interessarsi alle questioni pubbliche. Un distacco che avrebbe reso immune la nazione dalla violenza che sconvolgeva l’Europa.
I propositi erano talmente palesi che, inviato nel Nuovo Mondo per studiare il sistema penale, quarant’anni dopo l’aristocratico francese Charles-Alexis-Henri Clérel de Tocqueville sposò senza esitazione il sentire dei framers, indicando «nella dittatura della maggioranza» la principale minaccia al modello a stelle e strisce.”
“Nell’estate del 1787 la segretezza che circondava i lavori della convenzione di Philadelphia era divenuta insostenibile anche per gli abitanti del Nuovo Mondo, che pure non erano usi ricevere spiegazioni dai loro governanti. Al termine dell’assemblea la signora Powel, che fuori dal cancello della Independence Hall attendeva notizie, si rivolse a Benjamin Franklin per sapere quale forma costituzionale avrebbero assunto gli Stati Uniti d’America. «Dottore, che cosa avremo allora? Una repubblica o una monarchia?», chiese con trepidazione.
Voltatosi di scatto, Franklin la fulminò con una risposta smaccatamente paternalistica: «Avremo una repubblica, signora, se sarete in grado di mantenerla».
La dichiarazione tradiva l’approccio dei padri fondatori (framers).
Nelle intenzioni originarie, l’America non doveva essere una democrazia – la parola non appare mai negli articoli della costituzione – ma una repubblica. Non solo per il fascino irresistibile dell’Antica Roma.
Il termine greco demokratía richiamava «la diretta e pericolosa» incarnazione del governo da parte del popolo. Gli Stati Uniti invece sarebbero stati guidati da un gruppo di elitisti illuminati che, prestati solo temporaneamente alla politica, avrebbero amministrato la cosa pubblica senza lasciarsi traviare dalle passioni. E avrebbero perduto la libertà solo se la popolazione avesse imposto la propria volontà alla classe dirigente, alterando l’architettura istituzionale.
La politica doveva essere appannaggio di pochissimi letterati, selezionati per censo quale elettorato attivo e passivo. Il feticcio della rappresentatività era il diaframma da inserire tra il lucido perseguimento dell’interesse pubblico e la cieca umoralità delle masse. Il presidente sarebbe stato scelto indirettamente, da un collegio elettorale che si riuniva in semiclandestinità.
La stessa idea di indire elezioni esclusivamente di martedì, il giorno che precedeva il mercato, doveva scoraggiare la cittadinanza dall’interessarsi alle questioni pubbliche. Un distacco che avrebbe reso immune la nazione dalla violenza che sconvolgeva l’Europa.
I propositi erano talmente palesi che, inviato nel Nuovo Mondo per studiare il sistema penale, quarant’anni dopo l’aristocratico francese Charles-Alexis-Henri Clérel de Tocqueville sposò senza esitazione il sentire dei framers, indicando «nella dittatura della maggioranza» la principale minaccia al modello a stelle e strisce.”