LO PRENDERESTI N'KOULOU?
Pick 131
Làszlo / Ladislao / Ladislav KUBALA
e qui scusate, ma mi devo dilungare.
Classe 1927, come Puskas, era inizialmente considerato ancora più forte di quest’ultimo, perché un bagaglio tecnico di simile valore era sorretto, a differenza del Colonnello, anche da un fisico poderosissimo, degno di uno stopper, che lo rendeva praticamente inarrestabile.
Esordì in campionato a 14 anni ed in nazionale a 17, un anno prima di Puskas, ed avrebbe potuto rendere l'ARANYCSAPAT, la squadra d'oro, ancora più devastante, ma la sua famiglia era tra quelle pesantemente avverse al regime: già all’inizio degli anni ’40 erano fuggiti in Cecoslovacchia, approfittando del fatto che la madre fosse di quel paese, tanto che Laszlo, ora Ladislav, giocò anche qualche partita in nazionale.
Era poi rientrato in patria, nel Vasas, ma nel ’49 la situazione si era fatta troppo pesante per lui: chiese un periodo di ferma volontaria nell’esercito ai confini con l’Austria, e appena arrivato al reparto cui era stato assegnato ne approfittò per fuggire in Italia, ancora vestito da soldato.
Le squadre italiane sbavavano al pensiero di poter mettere le mani sull’ennesimo talento ungherese, anzi su quello che sembrava il migliore di tutti, ma questa volta l’Ungheria “si incazzò sul serio” (cit), come la polizia in Fantozzi alla Riscossa: la federazione ed il Partito fecero carte false per mettergli i bastoni tra le ruote, e Laszlo, tesserato con la Pro Patria, subì una lunghissima squalifica da parte della Fifa; disputò varie amichevoli con le maggiori squadre della penisola, ma non gli fu mai consentito di giocare neppure un minuto nel campionato italiano, solo qualche amichevole.
A restituirlo al calcio, dopo un paio d’anni di purgatorio, ci pensò Pepe Samitier, un Moggi spagnolo di quei tempi: durante una tournèe spagnola dell’Hungaria (una squadra italiana creata appositamente per ospitare i transfughi ungheresi e organizzare amichevoli nello stivale e nel resto d’Europa) lo corteggiò a lungo, e riuscì a portarselo a casa approfittando dell’altra grande passione di Kubala oltre al calcio: l’alcool.
Si narra che i dirigenti del Real, che avevano contattato il giocatore, avessero già raggiunto un accordo di massima per portarlo alle merengues con Di Stefano, e aspettassero soltanto una spintarella politica da parte di Francisco Franco per fare annullare la squalifica; il mefistofelico Samitier, invece, invitò “Lazsi” ad una festa dove lo fece ubriacare come una zampogna, gli fece firmare il contratto approfittando della sua condizione etilica, se lo portò al Barcellona e in quattro e quattr’otto gli fece ottenere il passaporto spagnolo e la revoca della squalifica, che gli permisero di deliziare le folle catalane negli 11 anni successivi.
Kubala divenne ben presto una vera e propria icona per i blaugrana, anzi l’Idolo per eccellenza: in una squadra che ha visto scendere in campo, tra gli altri, Neeskens, Crujiff, Maradona, Romario e Ronaldo, fino ad arrivare a Ronaldinho e Messi, nessun tifoso mette mai in dubbio che il miglior barcelonista di sempre sia stato, senza indugio, “
l’hungaro”, Ladislao Kubala: per motivi calcistici, ma anche perché rappresentava l’orgoglio di tutto un popolo.
All’epoca, molto più che oggi, il Barcellona non era solo una squadra di calcio, era il simbolo stesso della Catalogna, l’unica manifestazione di identità per tutti i catalani: le partite del Barca erano l’unica possibilità di alzare la testa e sbandierare il proprio orgoglio nazionale contro il regime, rappresentato dal potentissimo, ricchissimo, talentuosissimo Real.
L’ungherese biondo e con i capelli scarmigliati era l’anti-Real, l’anti-Franco, l’anti-regime per eccellenza: gli arbitri, sottomessi al franchismo, lasciavano che gli avversari lo pestassero in modo indegno ad ogni partita. Lui, nonostante le mazzate, nonostante i numerosi infortuni, nonostante tutto, continuava a giocare, a segnare, ad insegnare calcio.
Le partite del Barcellona diventarono, grazie a Kubala, un vero e proprio evento: l’affluenza era oceanica, e divenne un fenomeno di costume al punto che si rese necessario costruire uno stadio nuovo e molto più grande, anzi il più grande d’Europa: quello che ufficialmente è conosciuto come Nou Camp, ma che i vecchi Barcelonisti chiamano, affettuosamente, “la casa di Kubala", "la casa che Kubala ci ha costruito”.
In 11 stagioni al Barca vinse tutti i trofei che una squadra dell’epoca poteva vincere, in campo interno ed internazionale (compresa la celebre annata ’51 in cui portò a termine uno storico en plein, vincendo 5 trofei), archiviando 272 reti in 329 partite nella Liga ed assicurandosi diversi record storici tuttora imbattuti (tra cui i 7 gol in una partita) e fama degna di un imperatore.
Il prezzo da pagare fu la rinuncia alla maglia della nazionale del suo paese natale: è l’unico giocatore della storia ad aver indossato la maglia di tre nazionali diverse (Ungherese, Cecoslovacca e Spagnola) ma non giocò mai nemmeno un minuto al Mondiale.
In compenso, furono molti nazionali ungheresi a raggiungerlo in Spagna, tra cui Kocsis e Czibor, e soprattutto Puskas, sulla sponda Real: i due formidabili amici-nemici si affrontarono per anni da avversari nelle epiche battaglie tra le due dominatrici del calcio europeo dell’epoca.
Nel giorno dell’addio al calcio di Lazslo, Ferenc fece un gesto clamoroso per sottolineare la sua amicizia col biondo: giocò una partita di esibizione con la maglia blaugrana, per la prima ed ultima volta assieme a Kubala, per la prima ed ultima volta indossando una maglia che non fosse quella della Honved, della Nazionale o del Real.